Come ogni 
										opera di Mahler la Quinta Sinfonia ebbe 
										gestazione lunga e laboriosa; nelle sue 
										linee fondamentali era già conclusa nel 
										1902, ma solo nell'ottobre del 1904 sì 
										effettuò la prima esecuzione pubblica, a 
										Colonia sotto la direzione dell'autore; 
										inoltre, forse più che in ogni altra sua 
										opera, conobbe ritocchi, correzioni e 
										rifacimenti, ancora prima della stampa 
										presso Peters, fino agli ultimi anni di 
										vita de! compositore, Mahler concepì la 
										Quinta Sinfonia intorno ai quarantanni, 
										nel periodo della felicità matrimoniale 
										e poco dopo la conversione al 
										cattolicesimo; dopo le tre Sinfonìe 
										precedenti, che avevano impiegato la 
										voce umana secondo varie forme e moduli, 
										con la Quinta il compositore ritorna 
										alia sinfonia "pura", per soli 
										strumenti, sia pure aggruppati in vaste 
										falangi; ritorna, dopo la pausa intima 
										della Quarta, la prospettiva del 
										gigantismo titanico che aveva fermentato 
										nella Seconda e Terza Sinfonia; e 
										perdura del pari il riferimento ad una 
										fonte poetica: così come le tre Sinfonie 
										precedenti avevano le loro radici in Des 
										Knaben Wunderhorn (Il corno magico del 
										fanciullo), la raccolta di liriche 
										medioevali tedesche pubblicate da Arnim 
										e Brentano, allo stesso modo (sia pure 
										con legami più sfumati) un ciclo poetico 
										fiancheggia e si intreccia con la Quinta 
										i Kindertotenlieder (Canti per i bambini 
										morti) di Friedrich Ruckert. Dai Canti 
										di Ruckert, tardo anello di un motivo 
										poetico, le "tombe precoci" (die fruhen 
										Gràber), che risale ai poeti 
										dell'Antologia Palatina, Mahler aveva 
										scelto cinque componimenti intonandoli 
										in un trepidante ciclo di Lieder, i cui 
										succhi inventivi dovevano fecondare 
										ampie zone della Sinfonia.  
										 
										L'opera si divide con chiarezza in tre 
										grandi capitoti: il primo è costituito 
										dai primi due movimenti, il secondo dal 
										solo Scherzo, il terzo dagli ultimi due 
										movimenti. Il primo brano, Trauermarsch 
										- In gemessenem Schritt, Streng. Wie in 
										Kondukt (Marcia funebre - Con passo 
										misurato. Rigoroso. Come un conductus), 
										è tutto costruito secondo due poli: da 
										una parte il tragico incedere della 
										marcia, la crudele chiarezza degli 
										squilli di tromba, orientati verso 
										l'acuto come famosi modelli wagneriani: 
										spogliati però d'eroismo, come se la 
										spada di Siegfried tornasse fra le mani 
										del compositore senza nessun rivale, 
										nessun drago cui rivolgersi.  
										Il secondo polo è affidato al largo 
										melodizzare degli archi (impastati con 
										clarinetti e fagotti sopra tutti), a un 
										tema cantabile ogni volta esposto con 
										sottili variazioni: ora presenta tratti 
										di inerme semplicità, ora di pathos 
										teatrale, ora si trascolora in una 
										citazione del primo dei 
										Kindertotenlieder. Comune ad entrambi 
										gli atteggiamenti espressivi è il ritmo 
										misurato e marcato: la partitura reca 
										l'indicazione suppletiva "come un 
										conductus" e il termine (da conducere) 
										vale qui per musiche di tipo 
										processionale che accompagnano, come nel 
										dramma liturgico medioevale, l'entrata 
										dell'officiante o il vai e vieni dei 
										personaggi. Anche le frasi di più 
										lancinante cantabilità sono ancorate al 
										plumbeo pendolo ritmico dei bassi; e la 
										Marcia funebre, fin dalla Prima e 
										Seconda Sinfonia, si rivela un luogo 
										tipico dell'arte di Mahler, trattato con 
										l'ironia del quadro di genere, lontano 
										da ogni alone extraterreno.  
										Il secondo movimento, Sturmisch bewegt, 
										mit gròsster Vehemenz (Tempestosamente 
										mosso, con la più grande veemenza) è 
										strettamente connesso al primo: ne 
										sviluppa spunti rimasti colà allo stato 
										di asserzione, ne riprende quasi alla 
										lettera vaste sezioni. La tempesta 
										dell'esordio (Sturmisch bewegt sarà 
										anche l'indicazione della celebre 
										apertura del Rosenkavalier) si ripiega 
										in momenti di sconcertante sincerità 
										espressiva: come il quasi recitativo dei 
										violoncelli soli sul prolungato si 
										bemolle dei timpani, quasi uno sguardo 
										nelle pieghe dell'animo di Mahler, 
										presentato con la traumatica evidenza 
										del grande teatrante. Un grandioso 
										corale, lontano battistrada del clima 
										entusiastico che chiuderà la Sinfonia, è 
										il punto d'arrivo della prima sezione 
										dell'opera; la sua compatezza si sfalda 
										nelle ultime battute con interventi 
										solistici, con il ricorso a sordine e 
										pizzicati e in fine ad una sola, neutra, 
										nota del timpano. 
										Tradizionale e quindi meno complicato da 
										decifrare a un primo contatto è il 
										taglio del formicolante, vastissimo 
										Scherzo, Kràftig, nicht zu schnell 
										(Energico, non troppo veloce), spesso 
										punteggiato dall'aggettivo keck 
										(sfacciato, sfrontato), lo stesso usato 
										da Mahler in Der Trunkene im Fruhling, 
										l'inno alla vita e all'ebbrezza del 
										Canto della terra. È una apoteosi del 
										valzer, una pagina che arricchisce 
										l'antologia, da Schubert a Strauss, con 
										cui la più famosa danza del mondo è 
										diventata il simbolo di una città e di 
										una cultura. La bizzarra, caotica 
										grandiosità della composizione (che 
										tuttavia lascia spiragli a gracili 
										serenate, come pizzicate sul liuto da un 
										ideale Pierrot) è stata descritta con 
										precisione dall'autore stesso, in una 
										lettera alla moglie da Colonia dopo la 
										prima prova del lavoro: "Lo Scherzo è un 
										tempo maledetto! la sua storia sarà un 
										lungo seguito di dolori! Per 
										cinquant'anni i direttori lo prenderanno 
										a un movimento troppo veloce e ne 
										faranno una cosa senza senso; il 
										pubblico, o Dio, che faccia può fare 
										posto di fronte a questo caos che 
										continua eternamente a partorire un 
										mondo che dura un istante per tornar 
										subito a dissolversi, posto di fronte a 
										queste sonorità da ere primordiali, di 
										fronte a questo mare che sibila, che 
										mugghia, che ruggisce, di fronte alle 
										stelle che danzano, di fronte a queste 
										onde che si placano mandando lampi 
										iridescenti?" (lettera del 16 ottobre 
										1904). 
										 
										Il carattere primordiale e il piglio da 
										"poeta maledetto" dello Scherzo si 
										ritirano nell'Adagietto successivo per 
										cedere il passo a una della più celebri 
										Rèveries, o "cavatine" del compositore; 
										l'orchestra si riduce ai soli archi, 
										dentro i quali tuttavia si annida la 
										tremula sonorità di un'arpa; il seme 
										melodico principale deriva dalla parte 
										conclusiva del Lied Ich bin der Welt 
										abhanden gekommen ("Io sono perduto per 
										il mondo"), anch'esso su testo di 
										Ruckert e composto da Mahler nell'estate 
										1901, ma tutto il melos della pagina 
										sembra ripiegarsi e ragionare sul 
										Tristan und Isolde; un Tristan sul quale 
										una sfumatura di autocompassione ha 
										posato una patina di astrazione e di 
										immobile lontananza: fra la terza e la 
										quarta nota della frase dei primi 
										violini si apre un'attesa piena di 
										strazio, quindi l'incontro dissonante di 
										do diesis alle viole e re ai violini (batt. 
										6) fa sentire quanto rimorso ci sia in 
										tutto quel miele di superficie: 
										rammemorare, da molti ritenuto l'essenza 
										dell'arte mahleriana, costa pena e 
										riduce l'organismo a deboli palpiti. 
										Dall'ultima nota dell'Adagietto, dopo un 
										indugio che pare eterno, si sprigionano 
										i toni festosi e ben areati del Finale 
										(Allegro), in forma di Rondò secondo le 
										migliori tradizioni del sonatismo 
										classico. In questa estroversa 
										conclusione si riconoscono agevolmente 
										varie presenze culturali: i pedali di 
										tonica ai bassi, le quinte bucoliche e 
										nutrienti della Sinfonia "Oxford" di 
										Haydn; le architetture mozartiane del 
										Finale della "Jupiter", ma anche 
										Ciaikovski, anche Mahler stesso con una 
										autocitazione dell'episodio centrale 
										dell'Adagietto; e su tutti il robusto 
										spirito dei Meistersinger, con le risse 
										contrappuntistiche e il benessere fisico 
										prodotto dal contrappunto e dall'armonia 
										diatonica. Lo schema compositivo è 
										quello dell'accumulo, concluso dal 
										corale già affacciato alla fine del 
										secondo movimento che conferma la 
										coscienza di una eredità e la posizione 
										di Mahler sull'ultima frontiera della 
										tradizione sinfonica tedesca. |