Va innanzitutto considerato il fatto che
Dvorak non scrisse un'opera su commissione,
destinata a qualche specifica formazione
quartettistica per l'esecuzione nelle sale
da concerto: scrisse invece per l'uso
domestico, per il piacere di far musica
suonando in privato, fra gli amici della
comunità boema di Spillville. Un'opera,
dunque, scritta quasi per propria
ricreazione; è Dvorak stesso che chiarisce,
scrivendo un paio d'anni più tardi all'amico
compositore Josef Bohuslav Foerster: «Nel
1893, scrivendo questo quartetto [...],
volevo comporre qualcosa d'assolutamente
semplice e melodico. Avevo costantemente
davanti agli occhi papà Haydn; questo è il
motivo per cui m'è riuscito di uno spirito
così organico». Ciò non significa,
ovviamente, che Dvorak sia ritornato alla
tecnica compositiva haydniana: significa
piuttosto il recupero dell'antico
atteggiamento spirituale, il ritorno a uno
stile quartettistico proiettato
all'intrattenimento privato e non alla
grande sala pubblica; uno stile poco
pretenzioso riguardo alle dimensioni e alle
esigenze tecniche, forse poco attuale per
l'epoca, ma uno stile che recupera il vero
spirito del quartet-tismo settecentesco.
V'è però un altro motivo, strettamente
biografico, che spiega le felici effusioni
melodiche e il caratteristico colorito
bucolico del quartetto: è la gioia del
ritrovato contatto con la natura. Nominato
direttore del National Conservatory of Music
di New York, Dvorak aveva dovuto trascorrere
otto mesi nella caotica metropoli,
conducendo una vita a lui poco congeniale;
il 5 giugno 1893, finalmente, partiva con la
famiglia per Spillville, un piccolo
villaggio d'emigranti cechi nel nord-est
dell'Iowa, per trascorrervi le vacanze
estive e ritemprarsi al contatto della
natura. Entusiasta, il compositore si
abbandonava al piacere delle passeggiate e
avvertiva nuovi stimoli alla creazione
artistica: già due giorni dopo l'arrivo
abbozzava il quartetto, che il 23 giugno era
terminato.
Lo spiccato carattere folklorico che pervade
tutti i movimenti del quartetto non deriva
affatto dall'imprestito di specifiche
melodie popolari boeme, bensì dall'adozione
di una scala particolare, di largo impiego
nel patrimonio etnico musicale di numerosi
popoli: la scala pentatonica. È su tale
scala che si basano i temi di tutti i
movimenti del quartetto; ciò crea il senso
di una comune appartenenza linguistica, di
una parentela fra temi che pure non hanno
reciproche relazioni motiviche. Dvorak si
riferisce certamente al senso di coerenza
che risulta da tale modo di procedere,
quando dice d'aver avuto «costantemente
davanti agli occhi papà Haydn». |