Il Quarto
Quartetto, composto fra il luglio e il
settembre del 1928. Questo lavoro,
articolato in cinque movimenti, affronta
nuovamente il problema della grande
costruzione ciclica a simmetria
centrale, da un lato riallacciandosi a
Beethoven (soprattutto al Quartetto in
la minore op. 132), dall'altro spremendo
il succo delle acquisizioni moderne in
fatto di tecnica e di linguaggio
compositivo.
Il problema della macrostruttura viene
risolto con una disposizione
rigorosamente prestabilita, denunciata
dall'autore stesso nelle note di
accompagnamento alla partitura della
Universal Edition: "Il movimento lento
(cioè il terzo, Non troppo lento) è il
nucleo centrale dell'opera, gli altri si
dispongono a strati attorno a questo.
Il quarto movimento è una libera
variazione del secondo, mentre il primo
e il quinto si basano sullo stesso
materiale.
Ne deriva che attorno al nucleo centrale
(terzo tempo) il primo e il quinto
formano gli strati esterni, il secondo e
il quarto quelli interni".
In realtà, però, questa spiegazione
chiarisce solo in parte l'enorme
complessità delle relazioni sottese alla
forma del Quartetto.
Esso sembra nascere veramente dal nucleo
del tempo centrale, che si espande a
raggiera verso gli altri movimenti pur
differenziandosi nettamente per
carattere, tematica e tonalità, e nello
stesso tempo ne riflette le
trasformazioni in un'ottica speculare
deformata, pur nella riconoscibilità dei
tratti originari: sì da essere, del
ciclo completo, il punto di partenza e
di arrivo insieme.
Questo movimento centrale consta di una
serie di monologhi e dialoghi solistici,
basati su un'ampia melodia esposta la
prima volta dal violoncello, con
carattere di recitativo.
La tecnica dell'imitazione a specchio
costituisce il principio compositivo
fondamentale, evidentemente simbolico:
sembra quasi che ogni figura del
Quartetto rispecchi se stessa, o
rifletta la propria immagine in altre
figure.
Solo alla fine le quattro voci si
presentano insieme, per dare pienezza
alla ripresa della melodia ora
riccamente fiorita ed elaborata: lo
stile di questo recitativo condensa il
ritmo libero del declamato delle melodie
popolari con l'emozione più profonda e
stupefatta di certe cantilene bachiane e
beethoveniane.
Se dal nucleo centrale ci spostiamo agli
strati "interni", e poi a quelli
"esterni", ci rendiamo conto in che
senso vada intesa la corrispondenza
speculare indicata dall'autore.
Il secondo movimento (Prestissimo, con
sordino) è una specie di danza
spiritata, tutta mormorii indistinti e
fruscii vorticosi, una sorta di Scherzo
diabolico nel quale il groviglio
materico stenta a districarsi e a
identificarsi.
Quando esso riappare nella "libera
variazione" del quarto movimento
(Allegretto pizzicato) è come se nel
frattempo l'obiettivo fosse stato messo
a fuoco, e noi potessimo riconoscere ì
contorni di ciò che prima ci appariva
indistinto e indeterminato.
L'immagine speculare ha qui assunto una
nuova identità, senza che sia possibile
decidere quale delle due sia quella
vera, od originaria. Qualcosa di
analogo, sia pure in altro contesto,
accade nella relazione fra primo e
quinto movimento, rispettivamente
Allegro e Allegro molto (gli strati
"esterni" del Quartetto).
Il primo, in forma-sonata, costruisce il
proprio tema per espansioni progressive
di elementari cellule sonore, iniziando
dal semitono. Quando ha raggiunto la
forma definitiva, subito imita se stesso
nell'inversione a specchio, generando
con le sue varianti il resto del
materiale tematico e rimanendo tuttavia
sino alla fine il pensiero che guida il
movimento.
Nel quinto movimento, Bartók comincia
coll'elaborare gli elementi variati del
materiale tematico del primo, per
ritornare per successive privazioni e
riduzioni alla figura fondamentale del
tema, isolandone le cellule germinali.
Il Quarto Quartetto finisce così là dove
era cominciato, affondando le sue radici
nell'identità originaria dell'elemento
popolare, avvalorato proprio attraverso
le più ardite e avanzate ramificazioni
nel linguaggio della musica colta. |