Poche pagine
della letteratura pianistica appaiono
così peculiarmente concepite sulla
misura delle doti interpretative di una
specifica personalità, come il Concerto
n. 1: nel 1926 esso fu infatti
commissionato, per così dire, a Bartók
compositore da Bartók pianista, virtuoso
di fama ormai internazionale. Così come
più tardi si sarebbe ripetuto per il
Concerto n. 2, gemello del primo sotto
più d'un profilo, l'autore non si limitò
a proporne egli stesso la prima
esecuzione assoluta - che ebbe luogo a
Francoforte sul Meno il 1 luglio 1927,
con Wilhelm Furtwàngler sul podio - ma
volle riservarsi anche gran parte delle
successive premières nazionali,
concedendone solo in casi eccezionali il
privilegio ad altri artisti.
"Neoclassico" nella partizione in tre
tempi, nel quadrato rigore dell'impianto
ritmico (nonostante i frequenti
cambiamenti di metro: da 2/4 a 3/4 a
5/8...), nel ritrovamento di una libera,
ma riaffermata, sensibilità tonale, il
Concerto n. 1 appare al tempo stesso
portatore di forti valenze innovative
sulla scia delle esperienze maturate nel
decennio precedente. Lo si avverte
diffusamente: ad esempio nell'impiego di
un tema folclorico come secondo soggetto
della forma-sonata che struttura
l'Allegro moderato iniziale; oppure
nella strumentazione dell'Andante
centrale, il cui macabro, sidereo
chiarore è reso arcano dal trasparente
silenzio degli archi; o, infine, nella
barbara motricità del conclusivo Allegro
molto, dove il caratteristico martellato
bartókiano sospinge il pianoforte - qui
esplorato dalla scrittura come un vero e
proprio strumento a percussione verso
inaudite dimensioni foniche. Bartók
prescrive in partitura il posizionamento
dell'intera batteria di percussioni
immediatamente dietro il pianoforte
concertante. |