Se le
differenti fonti (tradizione europea
colta e popolare) che alimentano il
linguaggio musicale di Bartók appaiono
nel Principe di legno più giustapposte
che pienamente integrate, la Cantata
profana per soli, doppio coro misto e
orchestra, composta nel 1930, è invece
espressione di una sintesi stilistica
ormai perfettamente realizzata.
La Cantata è concordemente ritenuta uno
dei capolavori della produzione di
Bartók e della stessa musica vocale
contemporanea, rappresentando altresì
l'opera che più esplicitamente rivela il
credo artistico e ideologico del
compositore. Il soggetto, tratto da
alcuni canti natalizi rumeni, narra la
storia dei nove figli di un cacciatore
che, inseguendo un grosso cervo, varcano
un ponte magico e vengono trasformati in
cervi essi stessi, dopodiché si
rifiutano di tornare dal padre e di
riassumere le sembianze umane. Pur se la
Cantata è stata interpretata da alcuni
studiosi in chiave strettamente politica
- un'allegoria della ribellione contro
il governo reazionario Horthy succeduto
a quello comunista di Béla Kun -,
l'opera sembra in realtà racchiudere un
più alto e universale messaggio di
libertà (e del resto l'ardore
nazionalistico degli anni giovanili si
era già da diversi anni stemperato in un
più maturo concetto di fratellanza tra i
popoli), unito ad un profondo sentimento
della Natura, intesa come una sorta di
religione immanente e tutta profana da
opporre alle costrizioni artificiali
della civiltà (qui rappresentata in una
delle sue più tipiche istitu-zioni: la
famiglia). Al di là del simbolismo
dell'opera, dal punto di vista musicale
la Cantata riprende e sintetizza, in una
audace e complessa rete di
interrelazioni, forme e tecniche della
musica occidentale (sostenuto
contrappuntismo espresso in diverse
gradazioni: canone, fugato, fuga,
mottetto, variazione su corale) ed
elementi tratti dal materiale folklórico
(tematismo d'impronta popolare
soprattutto nelle parti solistiche,
ricorso alla modalità, strutture
ritmiche irregolari).
Sul piano strutturale, la Cantata si
suddivide in tre parti: "Molto moderato
- Allegro molto";
"Andante"; "Moderato", corrispondenti
all'articolazione formale del testo,
caratterizzato da due sezioni narrative
"Andante"; "Moderato", corrispondenti
all'articolazione formale del testo,
caratterizzato da due sezioni narrative
(esposte dal coro) che incorniciano una
parte interna drammatica (solisti con
brevi interventi del coro). La scrittura
corale rivela una grande flessibilità,
con i cori presentati ora sovrapposti,
ora separati, ora divisi irregolarmente.
In questo senso, pregevole è la
realizzazione delle tre strofe corali
della prima parte, che presenta al
centro la violenta e selvaggia fuga
della caccia, con il grido dei
cacciatori trasmesso in imitazioni
sempre più serrate, come di
straordinaria efficacia è l'introduzione
orchestrale con il primo intervento del
coro che sembra direttamente richiamarsi
alla Passione secondo Matteo di Bach.
Nella seconda parte, la narrazione
lascia il posto al dialogo diretto tra
il figlio (tenore), che si esprime in
arie libere costituite da dure frasi
spezzate e di andamento ascendente, e il
padre (baritono), caratterizzato da
ampie e patetiche linee discendenti.
Inserendosi in quella tendenza europea
impegnata verso un nuovo ricupero
dell'espressività corale (di questi anni
sono, ad esempio, ì'Oedi-pus Rex e la
Sinfonia dì Salmi di Stravinski, lo
Stabat Mater di Szymanowski nonché la
Messa glagolitica di Janacek), la
Cantata profana può dunque considerarsi
il personalissimo contributo di Bartók
alla stagione "neoclassica" della musica
novecentesca. Gloria Staffieri |