Il ciclo
Quattro pezzi per orchestra op. 12
appartiene alle opere in cui Bartók
tentò di avvicinarsi alla sinfonia,
anche se in realtà non giunse mai a
scrivere una sinfonia "vera e propria".
Il Kossutfi del 1903 è un "poema
sinfonico" in un movimento unico, le "Suites"
e la "Suite di danze" si rifanno a forme
preliminari della sinfonia classica; se
da un canto la Musica per archi, celesta
e percussione è di proporzioni
sinfoniche, dall'altro essa rinuncia
alla partecipazione dei fiati; e già il
titolo del Concerto per orchestra,
composto da Bartók nel 1943 durante il
suo esilio in America, evita qualsiasi
allusione alla grandezza e alia
solennità della sinfonia.
Non si può negare che i quattro pezzi
orchestrali scritti dal compositore nel
1912 all'età di 31 anni nove anni dopo
abbiano dimensioni sinfoniche e
impieghino una grande orchestra
sinfonica (comprese due arpe e un
pianoforte), ma essi non costituiscono
tuttavia una sintonia: mancano ad
esempio un movimento principale di una
certa gravità e un finale, e ci troviamo
piuttosto di fronte a quattro tipici
brani di carattere, ciascuno dei quali
potrebbe derivare da una sinfonia.
Il "Preludio" è un solenne movimento
lento con una voce principale di ampio
respiro, concepito seconde) lo schema
A-B-A-Coda.
Lo "Scherzo", che contiene una sezione
di trio, segue la tradizione del
movimento impetuoso di danza che non
aveva cessato di svilupparsi da
Beethoven in poi, e che ormai non
possiede più nulla di veramente
"scherzoso".
L'"Intermezzo" lascia individuare
l'influenza di Brahms, anche se
l'armonia arriva a sfiorare i confini
della tonalità.
La "Marcia funebre" infine conclude il
cielo nella tonalità di do diesis
minore, arricchita con dissonanze.
Nella sequenza delle note centrali dei
quattro movimenti (mi, si bemolle, sol,
do diesis) preannuncia tra l'altro la
predilezione del tardo Bartók per
l'impiego del cerchio di terze minori
(oppure maggiori) per la strutturazione
tonale delle sue composizioni. |