La dedica "Al
buon Dio" della Sinfonia n. 9 conferma, se
occorresse, il nesso tra il sinfonismo di
Bruckner e la sua candida fede cattolica,
sebbene egli stesso a volte indicasse come
occasioni evocative delle sue sinfonie tutt'altre,
profane immagini. I tre tempi che Bruckner
terminò vennero composti e finiti tra il
1887 e il 1894; del finale Bruckner cominciò
un abbozzo che lasciò incompiuto e che è
stato ricostruito da Nicola Samale e
Giuseppe Mazzuca nel 1986, sulla base degli
schizzi superstiti. La prima esecuzione
postuma fu diretta da Ferdinand Loewe, a
Vienna, l'il febbraio 1903, nella revisione
dello stesso Loewe; la versione originale
venne eseguita il 2 aprile 1932 a Monaco,
direttore von Hausegger. Il Finale
ricostruito è stato eseguito singolarmente
per la prima volta dall'Orchestra Sinfonica
della Radio di Francoforte, con la direzione
di Elia-hu Lubal, nel gennaio del 1986, e
unitamente alla Sinfonia dall'Orchestra
Sinfonica della RAI di Milano con la
direzione dello stesso il 22 maggio 1986.
Sia l'attacco del primo tempo della Sinfonia
n. 9 come già quello della Ottava, sia lo
strumentale, che rimane quasi lo stesso
imponente dell'Ottava, con fiati per tre,
otto corni di cui quattro si alternano con
le quattro tube, preannunciano le grandi
dimensioni di quest'opera. Partendo col
consueto sfondo (archi in tremolo), il primo
tema sembra farsi strada e costruirsi
faticosamente fino a un quasi nibelungico
squillo di corni che sale e scende per ampi
intervalli. Il secondo tema cantabile
(archi) sale in alto sino al riapparire di
idee smaglianti innervate di sapienza
contrappuntistica e di energìa strumentale,
e dopo due corali (legni soli, ottoni soli),
una coda conduce in crescendo alla
conclusione.
Lo Scherzo e una sorta di Landler tragico,
dove un enigmatico richiamo dei clarinetti
avvia una "domanda" in pizzicato, cui segue
una rude e ritmata "risposta" del "tutti" in
crescendo; fa da contorno un frusciante di
segno rotatorio di violini e cupi squilli di
ottoni. Un Trio di carattere danzante
mantiene un ritmo egualmente rapido (Schnell)
invece che uno più lento, come vorrebbe la
tradizione.
Un arco melodico di violini aperto da un
salto di settima maggiore ascendente,
armonie "tristaniane", rarefazioni di timbri
isolati, scoppi in fortissimo con gloriosi e
quasi deliranti slanci verso l'acuto di
trombe, violini e flauti, corali di sole
tube e inni di ottoni costituiscono poi il
grande Adagio che interrompe la sinfonia
rimasta incompiuta a causa della morte
dell'autore.
Com'egli raccomandò prima di morire, la Nona
Sinfonia avrebbe dovuto completarsi con il
Te Deum quale solenne finale. Una citazione
del Te Deum appare, infatti, fra gli schizzi
del Finale lasciati dall'autore, serviti a
Mazzuca e a Samale per la loro
ricostruzione. Questa presenta un primo tema
fortemente scandito, collegato a un secondo
tema che si configura come una variante del
primo per approdare a un'intensa effusione
lirica e quindi dar luogo a un nobile terzo
tema corale, che, rienunciandola in un
radioso maggiore, volge a significati
positivi l'idea dell'Adagio, concepito come
un congedo dalla vita. Ed ecco
l'autocitazione dell'ostinato ritmico del Te
Deum, il quale introduce a una grande fuga
che sviluppa il materiale tematico
precedente. Segue una coda la cui chiusa è
costruita sull'ostinato ritmico del Te Deum,
che scioglie le tensioni ritmiche,
contrappuntistiche ed armoniche, trionfando
su ogni altro elemento. |