La parola dumky, plurale di dumka, dal
verbo dumati, si ritrova in tutte le
lingue slave e significa meditare,
pensare, riflettere. Dumky è anche una
vera e propria forma poetica, ballata
elegiaca celebrativa di grandi eroi,
sorta di canto epico che ricordava le
gesta dei cosacchi alla conquista di
pace e libertà.
Dvorak
scrisse alcuni pezzi intitolati dumka,
(come la Dumka op. 35 per pianoforte)
intendendo per essi una forma musicale
malinconica di fondo, però inframmezzata
a sezioni serene, gradevoli, più
leggere.
Il Trio
op. 90 in mi minore «Dumky» trae il nome
da quest'intenzione poetica e si esprime
in un'architettura variabilissima nelle
indicazioni dinamiche e di tempo -
almeno una quarantina gli scarti di
movimento - e sostanzialmente binaria
nella struttura (in pratica degli A B
alternati).
Vi
troviamo temi eroici, gioiosi, di danza,
in sequenza con altri di taglio opposto,
nostalgici, intimistici.
Mancano,
in linea di massima, elementi
«complessi» di sviluppo, di
modificazione, di variazione
organizzata. Tutto scorre senza
interruzioni, passa, si risolve,
rinasce: Dvorak compone le sue melodie,
non le trascrive, non le rielabora,
semplicemente coglie il sapore del canto
popolare.
Come le
sequenze di un film, scorrono semplici
fotogrammi di un'impressione fugace, in
grado di restituire il senso dello
«spirito del popolo». Alla fine questi
sei brevi brani si collegano in una
formidabile unità di contenuti
attraverso un pensiero comune. La
connessione è garantita, oltre che dal
carattere, dalle relazioni tonali e da
uno stile narrativo che ce ne
restituisce l'antica origine dei
cantastorie slavi. La seconda Dumka II
ancora vive di contrasti, con una
sezione lenta alternata a una di fattura
più veloce, nello stile della rapsodia
ungherese. |