Rhapsody in Blue
Assolutamente convinto che, se presentato in
una veste adeguata, il jazz poteva avere la
stessa dignità della musica "colta", Paul
Whiteman - il celeberrimo violinista e band
leader newyorkese degli anni Venti, nonché
impresario e talent-scout - nel gennaio del
1924 lanciò una memorabile sfida dalle
colonne deìYHerald Tribune, annunciando per
il 12 febbraio successivo un concerto alla
prestigiosa Aeolian Hall con in programma
"la prima esecuzione di una nuova sinfonia
di George Gershwin, alla quale il musicista
sta lavorando da lungo tempo". Mentiva
spudoratamente: quel giovane songwriter di
talento, infatti, non aveva ancora dato
nemmeno il suo definitivo assenso alla
proposta fattagli da Whiteman solo qualche
settimana prima, e della futura Rhapsody in
Blue aveva appena abbozzato una versione per
due pianoforti! Nonostante la fretta con cui
Gershwin fu costretto a completare l'opera,
aiutato nell'orchestrazione da Ferde Grofé,
l'arrangiatore di Whiteman, la Rhapsody in
Blue (così chiamata per una duplice
allusione al quadro di James Whistler e alle
"blue notes" della musica jazz) ottenne un
successo clamoroso, e diventò immediatamente
l'emblema della nuova musica americana,
l'opera che - come nelle intenzioni del
lungimirante Whiteman - davvero portò il
jazz nelle sale da concerto.
Strutturalmente essa consiste in due
macrosezioni, entrambe dominate dal
pianoforte solista, all'interno delle quali
i rispettivi motivi si avvicendano e si
combinano secondo uno stile improvvisativo,
"rapsodico", che occulta abilmente
l'innegabile naiveté formale con la forza
esuberante propria del jazz e la raffinata
bellezza delle idee musicali di Gershwin. |