| Figlio di una 
									violoncellista, ottimo pianista nonché 
									violinista «classico» (fu per dieci anni 
									nell'organico della Los Angeles Symphony 
									Orchestra), istruito sui principi della 
									composizione e dell'orchestrazione, 
									Ferdinand Rudolph von Grofe - questo è il 
									vero nome di Ferde Grofé - decise in seguito 
									di dedicarsi al jazz e fu assunto dalla 
									celeberrima jazz-band di Paul Whiteman, per 
									la quale prestò la sua valida opera di 
									pianista e soprattutto di arrangiatore (tra 
									le sue numerose «orchestrazioni sinfoniche», 
									grazie alle quali, negli anni venti, il jazz 
									fu elevato nelle sfere dell'Arte, occorre 
									ricordare almeno quelle della gershwiniana 
									Rhapsody in Blue). Nella medesima linea di incontro tra jazz e 
									musica colta va considerata anche la sua non 
									indifferente attività di compositore, il cui 
									titolo più celebre è senz'altro la Grand 
									Canyon Suite, iniziata nel 1921 (Sunrise) e 
									completata tra il 1929 e il 1931, 
									emblematica di una produzione tutto sommato 
									«leggera» qual è quella di Grofé, 
									tranquillamente assimilabile al genere della 
									musica per film («spettacolo musicale in 
									cinemascope» è stata felicemente definita da 
									G. Vinay), ma senz'altro piacevolissima, mai 
									volgare e scritta (e soprattutto 
									orchestrata) con mano sicura e abile.
 Nel primo movimento, Sunrise per evocare 
									musicalmente il sorgere del sole sul Grand 
									Canyon, Grofé fa ricorso a madrigalismi e a 
									effetti timbrici quasi scontati, ma di 
									sicura presa emotiva: accompagnamento 
									scalare ascendente, ostinato, in progressivo 
									trasferimento dal registro grave a quello 
									medio e acuto, a suggerire il lento 
									passaggio dalla notte al giorno; motivo 
									principale affidato al timbro argentino 
									dell'ottavino, quasi un usignolo che si è 
									appena svegliato, e così via. Nel seguente 
									Painted Desert, dove Grofé fa ancora largo 
									uso di un accompagnamento ostinato, i 
									misteriosi colori del «deserto dipinto» sono 
									affidati alle magiche sonorità di un disegno 
									ad arpeggi (forse non immemore de L'apprenti 
									sorcier di Dukas) e a un motivo principale 
									che riverbera continuamente tra i diversi 
									timbri dell'orchestra. On the trail, il 
									brano più famoso della suite, sembra proprio 
									la colonna sonora di un film di John Wayne, 
									col primo tema che suggerisce il procedere 
									sobbalzante di una diligenza o di un 
									conestoga (il pesante carro dei pionieri) e 
									il bel secondo tema epico, carico di 
									ottimismo e illuminato dalla luce dei grandi 
									spazi della frontiera. Per Sunset 
									«tramonto», vale quanto detto per il 
									precedente (e speculare) Sunrise, non a caso 
									citato in coda con l'incipit del suo motivo 
									principale: qui il madrigalismo consiste in 
									un lungo motivo principale dal profilo 
									discendente che suggerisce l'infuocato e 
									lento tramonto del sole, al quale Grofé non 
									oppone alcun altro motivo, preferendo 
									giocare unicamente sulla varietà e sulla 
									raffinatezza timbrica. La suite si conclude 
									a sorpresa con Cloudburst spettacolare 
									narrazione sonora di un nubifragio che 
									sconvolge la quiete notturna annunciata 
									dalle sonorità iniziali dei violini e dal 
									dolce riepilogo dei più bei motivi della 
									suite.
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