Il
personaggio di Cardillac è piuttosto
complesso, ed è probabile che Hindemith,
al momento di musicare il soggetto
hoffmanniano, tenesse conto degli
aspetti "moderni" inerenti alla storia
dell'orafo che non sa separarsi dai
mirabili gioielli che egli stesso ha
creato, fino a lasciarsi condurre dalla
sua mania ad uccidere gli acquirenti cui
pure ha concesso in un primo tempo il
privilegio di diventare possessori delle
sue opere: dal clima allucinato in cui
la vicenda è destinata ad immergersi
allo sdoppiamento di personalità di
Cardillac, al gusto per l'orrido, per il
romanzo giallo, addirittura giungendo
per questa via a tratteggiare la
posizione dell'artista nella società
mercantile.
Hindemith affronta il problema
dell'opera in maniera nuova, senza
preoccuparsi del rilievo da conferire ai
personaggi attraverso il canto, e invece
sfrutta la virtuale "gestualità" della
sua scrittura contrappuntistica, tesa,
duramente sagomata, incessante
nell'implacabile ritmica motoria,
incline all'atonalità, impressionante
per la forza interna del dinamismo
musicale, dinamismo che stimola e per
cosi dire "inventa" quello
specificatamente teatrale.
Quando all'ultimo atto l'orafo,
smascherato dalla folla, confessa i suoi
omicidi e la forza soggiogante delle sue
tentazioni, Hindemith ricorre ad una
forma classica, la passacaglia, e in una
serie di ventidue stupende variazioni su
disegno ostinato al basso dimostra come
il linguaggio musicale, articolato
secondo salde leggi autonome anche se
coordinato in una chiara prospettiva di
comunicazione scenico-musicale, possa
toccare i più alti vertici drammatici
senza ricorrere a espedienti descrittivi
o a facili associazioni contenutistiche.
La trenodia finale, per soprano, tenore
e coro, fa da contrappeso alla violenza
della scena precedente, terminando con
una rasserenante pacificazione, con
intimo e pietoso cordoglio ("Egli era
schiavo della sua follia"). |