Charles E. Ives, singolarissima figura di 
									musicista americano, ignorato dall'ambiente 
									musicale del suo paese per molti anni e solo 
									recentemente rivalutato, attende ancora, 
									specialmente in Europa, un'esauriente 
									sistemazione critica malgrado l'originalità 
									e il valore indiscutibile di alcune sue 
									musiche.  
									 
									Esponente dell'avanguardia americana, per 
									Ives si deve parlare di pionieristica 
									indipendenza dalle coordinate storiche della 
									musica europea, la quale notoriamente negli 
									ultimi decenni del secolo scorso e nei primi 
									del nostro, cioè negli anni di maggior 
									operosità ivesiana, era votata a edificare 
									le nuove strutture passando per la strada 
									obbligata del cromatismo estremo in funzione 
									di stravolta negativa della tonalità.  
									 
									Fin dall'inizio l'americano si mostra del 
									tutto indifferente alla storicità del 
									linguaggio tradizionale musicale europeo, e 
									intraprende una via empirica, certo sempre 
									"sperimentale," ma non sperimentale nel 
									senso dell'alambicco, del laboratorio di 
									ricerca formalistica, bensì in quello 
									interessato a disegnare uno spazio sonoro 
									percorso da oggetti che alla musica del 
									passato non si pongono in rapporto di 
									stretta consequenzialità ma neppure di 
									reazione.  
									 
									Per questo Ives non è "atonale" nel senso 
									storicistico che solitamente si dà a questa 
									attribuzione, e al contempo, pur facendo 
									ampio ricorso a citazioni musicali, ignora 
									la nozione stravinskiana di "musica al 
									quadrato."  
									 
									Ciò ebe maggiormente colpisce nella musica 
									di Ives, specialmente in campo sinfonico, è 
									il singolare carattere della tematica, che 
									investe la natura del rapporto tra le varie 
									idee melodiche, armoniche, timbriche.  
									 
									Non si danno, sostanzialmente, poli opposti 
									avviati irresistibilmente verso la più 
									felice sintesi, ma altresì momenti 
									espressivi che si giovano, talvolta, di una 
									violenta interdipendenza sintattica, al 
									punto che l'accostamento di atteggiamenti 
									diversi, ripetuto e variato, ingenera una 
									vivissima irrequietezza strutturale.  
									 
									Le immagini della musica di Ives sono spesso 
									legate a un dato immediato, a segnali 
									acustici semanticamente definiti (il suono 
									di una banda evoca infatti un ben preciso 
									mondo, i rintocchi di una campana sono i 
									rintocchi di una campana in una chiesa del 
									New England e non una fonte acustica 
									denaturata, ecc.); perciò il fitto gioco dei 
									richiami, delle ricorrenze, delle citazioni 
									avviene in modo che ogni reperto conservi il 
									suo preciso carattere espressivo e 
									comunicativo, e dunque si viene a 
									determinare un avvicinamento oltranzistico 
									all'" esperienza," conservando le 
									microstrutture "tematiche" una precisione 
									esemplare anche quando sono avvolte da un 
									velo timbrico "visionario."  
									 
									Dunque il lavoro della memoria estrae dalia 
									vita, da immagini salienti, i segnali 
									acustici utili alla creazione artistica: per 
									Ives non si è mai trattato, neanche 
									all'inizio, di costruirsi un codice 
									d'avanguardia nei termini di una soluzione 
									astrattamente formalistica, di puro stile, 
									sostitutiva del vecchio linguaggio, ma di 
									operare baldanzosamente e senza inibizioni 
									con materiali da trasfigurare e da 
									sfaccettare conservandone però la 
									fondamentale semanticità (e non storicità: 
									nel senso ad esempio, che il canto religioso 
									citato a modo di corale non vale affatto in 
									quanto reperto archeologico, vale a dire un 
									frammento di ciò che è stato o potuto 
									essere, da contrapporre a ciò che la musica, 
									cioè l'umanità, è oggi, ma unicamente 
									rappresenta un espediente per rievocare un 
									ambiente determinato) senza peraltro 
									soggiacere ad un banale naturalismo.  
									 
									I toni celebrativi, vitalistici talvolta, 
									sono forse il limite più vistoso di questo 
									interessantissimo musicista: ma anche qui 
									bisogna guardarsi dall'intendere l'opera di 
									Ives col senno di poi. Nata da una 
									persuasione morale profondamente radicata, 
									essa rispecchia un'esigenza umanistica 
									utilizzando mezzi spregiudicati e sottratti 
									a qualsiasi formalismo conformista, 
									anticipando soluzioni che saranno della 
									musica colta recentissima: l'estremo 
									fallimento delle istanze umanistiche negli 
									Stati Uniti è presentito appena, e dunque il 
									vitalismo ive-siano, del resto contestato da 
									più stranianti connotazioni all'interno 
									dell'opera stessa, assume un significato 
									autenticamente positivo approfondendo i 
									termini della crisi per superarla in una 
									frenesia di trasformazione che esige 
									tensione e dignità nuove; non bisogna 
									infatti dimenticare le parole con cui Arnold 
									Schonberg salutava, nel periodo dell'esilio 
									americano, il musicista di cui si parla: 
									"C'è un grand'uomo che vive in questo paese, 
									un compositore. Ha risolto il problema di 
									preservare se stesso e di imparare. Egli 
									risponde all'indifferenza con il disprezzo. 
									Non si sente costretto ad accettare lode o 
									biasimo. Il suo nome è Ives." |