Messe de requiem per soprano, baritono, coro 
									misto, organo e orchestra op. 48 
									In questa composizione Fauré abolisce ogni 
									eccesso tragico, ogni empito melodrammatico, 
									quali si è soliti ritrovare nel genere del 
									Requiem (vedi i capolavori di Berlioz o di 
									Verdi), preferendo affidarsi a una linearità 
									salmodiante di voci e di strumenti. 
									 
									Ogni brano del lavoro appare in tal modo 
									nutrito della sacralità modale proveniente 
									dalla tradizione chiesastica, sì che anche 
									nei momenti più tenebrosi, come negli 
									accenti tragici dell'Agnus Dei e del Libera 
									me, resta una inconfondibile intonazione 
									mistica, estatica, per cui la morte non vi è 
									sentita come una tragedia, ma piuttosto come 
									la liberazione dalla schiavitù del corpo, il 
									trascendimento di ogni esperienza terrena.
									
									Aperto da alcuni robusti accordi, l'Introito 
									espone una solenne frase in re minore, che 
									viene dapprima cantata dall'intero coro e 
									poi ripetuta dai soli tenori; subito segue 
									il Kyrie, affidato al coro, caratterizzato 
									dal ricorrere di arcaiche cadenze piagali 
									(sottodominante-tonica) e segnato da una 
									soavità carica di mistero. 
									 
									Costruito in stile imitativo è l'Offertorio, 
									in cui il baritono fa la sua apparizione 
									sulle parole "Hostias et preces". 
									 
									Nel Sanctus, composto nel modo antico 
									ipofrigio, l'atmosfera è resa vieppiù 
									incantata dalle sonorità dell'arpa e del 
									coro di fanciulli (che può qui, ad libitum, 
									sostituire le voci femminili) associate a 
									quelle degli ottoni e dei violini, questi 
									ultimi presenti per la prima volta nel 
									lavoro. 
									 
									A tale proposito va osservato che il Requiem 
									impiegò diversi anni ad assumere la forma 
									definitiva, e che aveva conosciuto 
									originariamente una versione per organico 
									ridotto, senza violini e senza legni, prima 
									del 1888, anno della sua presentazione al 
									pubblico nella chiesa parigina della 
									Madeleine. 
									 
									Pagina estatica è anche il Pie Jesu che, 
									cantato dal soprano, segue al Sanctus. 
									 
									E non meno intenso è il corale Agnus Dei 
									successivo, in cui emerge un tema 
									orchestrale di grande respiro, trattato con 
									tecnica imitativa.  
									 
									Nel Libera me, Domine il baritono espone 
									figure intensamente espressive che 
									predispongono a un seguente episodio corale 
									in cui il testo del Dies ìrae viene intonato 
									con gravità d'accento e col conforto degli 
									ottoni. 
									 
									Ma nella conclusione, pure corale, In 
									Paradisum, l'atmosfera torna a farsi 
									serafica, pervasa dalle sonorità fuse 
									dell'organo, degli archi e dell'arpa, entro 
									le quali si distende un'immateriale melodia 
									cantata dalle voci angeliche dei fanciulli 
									(o dei soprani).  |