La mano felice (Die glùckliche Hand), opera 
									in un atto su libretto proprio (1909-1913) — 
									Quest'opera approfondisce ulteriormente la 
									poetica espressionista, non solo in senso 
									musicale ma più generalmente teatrale.  
									 
									Schonberg studia un tipo di teatro musicale 
									in cui lo spazio scenico viene assunto in 
									tutte le sue effettive possibilità, dalla 
									mimica ai giochi di luci e di colori, e dove 
									ogni elemento partecipa con dignità 
									strutturale pari agli altri. Nell'equilibrio 
									e nella complementarietà di tutti gli 
									elementi scenici e sonori ciò che prima di 
									ogni altra cosa viene a cadere è la 
									verosimiglianza "realistica" (naturalmente 
									nell'accezione più scontata e banale), 
									sostituita dalla propensione per il 
									fantastico e per il "mostruoso."  
									 
									Un complesso simbolismo sta alla radice dei 
									quattro quadri: all'inizio ci è dato di 
									vedere l'Uomo steso con la faccia al suolo 
									sovrastato da una creatura mostruosa, mentre 
									sullo sfondo i volti di sei uomini e di sei 
									donne illuminati di verde osservano da 
									altrettanti fori. La Donna, che personifica 
									l'eros, incombe sull'Uomo senza che questi 
									possa vederla, mentre il terzo personaggio, 
									il Signore "vestito elegantemente alla moda" 
									(precisa Schonberg) rappresenta la 
									mondanità, che risucchia la donna stessa in 
									un luminoso vortice contrassegnato dal 
									successo immediato, tramutandola in oggetto 
									incapace di riconoscere ogni valore. 
									 
									Nel secondo quadro l'Uomo viene a contatto 
									della Donna, e questo fa si che egli resti 
									in uno stato di beatitudine anche allorché 
									questa scompare condotta via dal Signore, e 
									contempli fissamente la propria mano 
									sentendo la Donna ancora vicino a sé. 
									 
									Nel terzo quadro egli percorre una gola 
									minacciosa salendo verso una grotta che, 
									indica Schonberg, "rappresenta qualcosa di 
									mezzo tra un'officina meccanica e un 
									laboratorio di oreficeria": gli uomini che 
									vi lavorano lo osservano minacciosamente ma 
									l'Uomo, ancora in preda al sentimento 
									estatico, "osserva la propria mano sinistra 
									alzata, le punte delle dita illuminate, 
									dall'alto, da una luce azzurro chiara. Egli 
									guarda la propria mano, dapprima 
									profondamente commosso, poi giubilante, 
									pieno di forza," poi spezza l'incudine e 
									dall'oro trae un diadema; a questo punto si 
									leva un vento fortissimo, una tempesta 
									accompagnata da chiarore abbagliante, da un 
									frenetico alternarsi di colori. L'Uomo vede 
									in un'altra grotta il Signore che insegue la 
									Donna la quale tenta di sottrarsi al suo 
									dominio, ma non può intervenire. 
									 
									Allorché Uomo e Donna si troveranno 
									vicinissimi in fondo alla gola, la seconda 
									tentando disperatamente di sfuggire 
									all'inseguiménto del Signore, determina la 
									caduta di un masso che si riversa 
									atrocemente sul primo.  
									 
									L'ultima parte, che ripropone lo stesso 
									quadro della scena iniziale, allude al 
									difficile cammino dell'individuo 
									nell'odierna società. Il coro canta la 
									spinta dell'Uomo verso un sentimento 
									plausibile eppure irrealizzabile, e la 
									visione disperata di un mondo soggetto, 
									senza possibilità di scampo, alle forze 
									oppressive.  
									 
									Per quanto concerne la musica sarà bene 
									limitarsi a constatare le differenze 
									sostanziali che è possibile cogliere tra 
									l'Attesa e la Mano felice: se nel primo 
									cimento teatrale di Schonberg la forma 
									musicale, e con essa in un certo senso il 
									"divenire" discorsivo, risultavano dissolti 
									nell'invenzione di una materia sonora sempre 
									nuova, corrispondente alla staticità 
									dell'azione risolta nell'evocazione dei 
									segreti fantasmi di cui si popola il 
									monologo interiore, nella Mano felice 
									l'organizzazione formale rivendica la 
									funzione "narrativa," è connessa a precise 
									intenzioni sceniche, visuali, suggerisce il 
									"gesto" teatrale, genera un senso di viva 
									inquietudine, percorrendo l'arco temporale 
									con il fremito dell'intreccio 
									contrappuntistico aspro e sferzante, mentre 
									sul piano vocale si impongono le 
									notevolissime parti corali, ove voci 
									cantanti e parlanti si intrecciano in una 
									struttura fissata in una dimensione 
									nettamente timbrica, si coniugano 
									ingigantendo la portata comunicativa ed 
									espressiva dei dati simbolici e registrando 
									il crescente pessimismo schònberghiano. |