I Sei
piccoli pezzi per pianoforte op. 19
(1911) cadono in un momento critico
della parabola creativa di Arnold
Schònberg. Essi rappresentano il limite
estremo del periodo atonale, di libera
emancipazione della dissonanza, al di là
del quale l'alternativa possibile era
data dal definitivo ammutolimento o
dalla riorganizzazione della musica su
basi completamente rinnovate. Per la
loro dimensione aforistica, questi pezzi
richiedono, anche solo per essere
percepiti nel loro semplice dispiegarsi,
un tempo psicologico molto più lungo di
quanto non sia la loro durata che
complessivamente non supera i cinque
minuti.
Il primo (Leicht, zari), il più lungo
della serie, si snoda lungo percorsi
imprevedibili di libera ispirazione,
cominciando sommessamente, ppp, e
altrettanto sommessamente spegnendosi in
un punto coronato che prolunga il suono
oltre l'ultima divisione di battuta. Il
pezzo raggiunge il suo apice intensivo
al termine della prima sezione in un
tessuto melodico e armonico più teso e
complesso, e tocca nella sezione
centrale, ma solo per un momento, un
forte che subito si rapprende in un
pianissimo. Per il resto le indicazioni
sparse nel testo sono tutte tese a una
sonorità essenzialmente intima con un
ritegno trattenuto e una concentrazione
esemplare.
Il secondo pezzo (Langsam) è
l'elaborazione di un ostinato, un
bicordo di terza maggiore scandito
irregolarmente, pianissimo, per tutta la
lunghezza del brano in un movimento
lento e uniforme in quattro quarti,
tranne che in un punto in cui, dopo che
una sincope ne aveva già spostato il
peso metrico sortendo un effetto di
sottile inquietudine, si arresta per poi
riprendere l'inesorabile pulsazione fino
a indugiare, un poco ritenuto,
estinguendosi sotto un accordo coronato
nell'acuto.
Il terzo pezzo (Sehr langsam) si
articola in due sezioni contrastanti,
nella prima delle quali (prime quattro
battute) la mano destra suona sempre
forte e la sinistra pianissimo, i piani
sonori ponendosi in contrasto fra loro,
mentre nella seconda, svolta a quattro e
a cinque voci in tranquille crome e
semiminime, la musica decresce dal piano
al pianissimo. Il pezzo si chiude in una
dinamica ridottissima entro la quale, in
tanta essenzialità di gesti, la semplice
insistenza su un mi bemolle si carica di
una formidabile pregnanza mnestica.
Il quarto pezzo (Rasch, aber leicht) è
una sorta di recitativo in miniatura che
i suoi due temi esposti lungo le prime
nove battute condensa nelle ultime
quattro in un violento martellato e in
una energica spezzatura ritmica.
Il quinto (Etwas rasch) si snoda
fluidamente lungo un'unica linea
melodica interrotta appena da brevi
respiri, tutta contenuta nel registro
mediano dello strumento ed eseguita
sottovoce, in modo delicato ma pieno.
Solo la conclusione, suona inizialmente
aspra in un forte svettante, per poi
dileguarsi (poco a poco ritenuto - molto
ritenuto) in un ineffabile pianissimo.
L'ultimo pezzo (Sehr langsam) è il più
straordinario. Con esso il grido
originario espressionista sembra
congelarsi in una trama sonora di
diafana consistenza, giocata sulla
sovrapposizione di due accordi con
effetto di campana funebre e sulle
interne riverberazioni di motivi minimi.
Alla terz'ultima misura un'esile,
essenziale linea melodica ripiegata su
se stessa suona con espressione
dolcissima, in una irreale sospensione
del moto accordale. Schònberg scrisse
questo pezzo poco dopo la morte di
Gustav Mahler che fu per lui un
protettore benevolo e un amico fedele:
l'indicazione tutta mahleriana wie ein
Hauch (come un soffio) inscritta
nell'ultima battuta di questo pezzo che
svanisce in un impalpabile pppp,
tradisce evidentemente l'intenzione
dell'omaggio postumo. |