Sinfonia
classica (Sinfonia n. 1) in re maggiore op.
25 (1917) — Concepita secondo i modelli
formali haydniani, la Sinfonia classica è
stata considerata per un certo tempo, e lo è
ancor oggi da parte della critica più
disattenta o sbrigativa, come uno degli
esempi tipici del neoclassicismo
novecentesco, o "musica al quadrato" che dir
si voglia.
In realtà Prokofiev in questa sua celebre
sinfonia è lontano sia dal recupero
costruttivista di Hindemith che dal limpido
controllo e dall'acuta stilizzazione con cui
Stravinski esercita il suo sarcasmo
accentuando il dislivello storico tra mezzi
usati e prassi compositiva. Ciò che nella
Sinfonia classica non si coniuga con i
principi della restaurazione neoclassica è
insomma quel modo diretto e partecipato di
avvicinare stilemi e forme del passato,
esente da ogni distacco critico e da ogni
mimetismo estetico. In effetti il musicista
sovietico compose questa sinfonia quasi in
polemica con chi lo accusava di macchinismo
futurista, di iconoclastia, di fumismo, di
radicalismo rivoluzionario (la violenta
Suite Scita è datata solo due anni prima), e
in più con chi lo accusava di rifugiarsi nel
nuovo a tutti i costi perché incapace di
ottenere risultati originali con mezzi
consueti.
Pur aderendo ai modelli settecenteschi,
Prokofiev non si compiace affatto di
stilizzazioni frigide, di esercitazioni
puramente stilistiche, ma riversa nei vecchi
schemi tutta la sua capacità di fine
umorismo, di turbinosa gaiezza,
spregiudicata utilizzazione di motivi di
danza cortese, senza rinunziare, come
avviene nel secondo tempo, ad un velo di
nostalgia tutta fra le righe, appena
accennata, quasi tra le pieghe di un sorriso
ironico. Con risultati, alla fine,
autenticamente "moderni." |