MUSICA CLASSICA E ARTE  2008

1890

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J.Brahms - Quintetto per archi in sol maggiore op. 111
Il fatto che per qualche tempo Brahms abbia considerato il Quintetto per archi I in sol maggiore op. 111 la sua ultima composizione oggi fa
sorridere. Il quintetto fu scritto a Bad Ischi nell'estate del 1890, di ritorno dall'ennesimo viaggio in Italia, e negli anni successivi
verranno altre opere sublimi: tanto per fare qualche esempio, le composizioni con protagonista il clarinetto, tra cui il Quintetto op. 115, i
brevi pezzi pianistici delle opp. 116-119, i Vier ernste Gesànge op. 121.
Se nel Quintetto op. 111, che segue di otto anni la gemella op. 88, è effettivamente dato di cogliere in qualche modo l'intenzione di un
coronamento, benché rivelatosi poi tutt'altro che conclusivo, ci si può chiedere quali ne siano i tratti salienti. In ogni caso, la
composizione presenta lineamenti molto particolari. Max Kalbeck, autore all'inizio del Novecento di una monumentale monografia su Brahms, sottolineò lo spiccato carattere viennese di un'opera in cui avrebbero trovato il loro punto d'incontro "tedesco senso dell'umorismo e melanconia slava, temperamento italiano e orgoglio magiaro", intendendo dunque per viennese l'amalgama asburgico e mitteleuropeo di culture diverse. Si deve a Kalbeck anche la supposizione che l'inizio del quintetto abbia avuto origine da una delle ultime due sinfonie abbozzate ma mai portate a termine da Brahms.

Dopo una prova, Kalbeck chiese inoltre all'autore se l'opera non avesse come sottotitolo segreto "Brahms al Prater"; al che Brahms gli
avrebbe risposto, con furbesco ammiccamento degli occhi: "Giusto. Non è vero? E tra molte belle ragazze".
Queste indicazioni contribuiscono a inquadrare il Quintetto op. 111, che Brahms sottopose come d'abitudine al giudizio di alcuni amici
fidati, ricevendo i consensi, tra gli altri, di Elisabeth von Herzogenberg e di Joseph Joachim, consensi appena velati da qualche perplessità
sulle difficoltà esecutive della partitura.

Ora, per quanto riguarda il carattere viennese il quintetto manifesta numerose inflessioni locali nei molteplici riferimenti al valzer e alla
musica tzigana, peraltro ormai perfettamente assimilati nel linguaggio brahmsiano. In vari passaggi, a incominciare dal movimento iniziale,
la scrittura tende a forzare i limiti della musica da camera proiettandosi in una virtuale dimensione sinfonica.

I giudizi degli amici e poi la recensione di Eduard Hanslick della prima esecuzione affidata al Quartetto Rosé (Vienna, 11 novembre 1890)
rilevarono subito alcuni aspetti essenziali del lavoro, che pare fondere in modo mirabile prorompente freschezza d'ispirazione (degna d'un
trentenne, secondo Elisabeth von Herzogenberg) e assoluto magistero compositivo: l'invenzione radiosa, la gioiosa vitalità sonora, la
luminosa trasparenza della tessitura, la concisione e la saldissima coerenza interna della forma.

Tutto ciò s'impone sin dall'Allegro non troppo, ma con brio, naturalmente in forma di sonata.

 

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