Il Quartetto per archi in fa maggiore,
dedicato a Gabriel Fauré, venne ultimato
da Maurice Ravel nel 1903 a 28 anni,
dieci anni dopo il Quartetto op. 10 di
Debussy. I punti di contatto con quest'ultima
opera sono evidenti e vanno da alcune
identiche indicazioni di movimento, alla
posizione dello Scherzo (al secondo
posto), all'uso di alcune tecniche
esecutive (come il pizzicato). Pierre
Lab scrisse addirittura che "nelle sue
armonie e successioni di accordi, nella
sua sonorità e nella forma, in tutti gli
elementi che contiene e in tutte le
sensazioni che evoca il Quartetto di
Ravel offre un'incredibile
rassomiglianza con la musica di Debussy".
Ma soprattutto Ravel dovette sentire la
continuità ideale con l'opera di Debussy,
il confronto con l'estetica musicale del
più anziano collega, scegliendo una via
artistica personale, certamente più
solare e "diurna", rispetto alle nuages,
alle pluies, alle nuits debussiane.
Significativa rimane comunque
l'attestazione di stima, la prima e
forse anche l'ultima, che Debussy fece
al giovane Ravel in merito alla
richiesta da parte di Fauré di
modificare il finale del Quartetto: "Nel
nome degli dei della musica e nel mio
nome, non toccate una sola nota di
quelle che avete scritto ne! vostro
Quartetto". E così Ravel fece.
Dal punto di vista formale, osserviamo
l'assenza nel Quartetto di Ravel della
forma ciclica o quantomeno di un tema
ricorrente che tenga unita la struttura
dell'intera composizione, come avveniva
nel Quartetto di Debussy; la ripresa nel
movimento finale di due temi uditi in
precedenza e la riesposizione nella coda
conclusiva delle armonie del primo tema
sembrano infatti più intenzionali
richiami all'opera di Debussy che
elementi strutturali portanti. E
piuttosto nella grazia, nella dolcezza
dei temi e nella classica nitidezza
delle forme che vanno cercati,
all'interno dell'opera, elementi
decisivi di coesione e di unità formale.
Nonostante alcuni pareri favorevoli, il
Quartetto di Ravel andò incontro dopo la
sua prima esecuzione, il 5 marzo 1904,
alla generale incomprensione. Fuori dal
coro, il cronista del Mercure de France
scrisse profeticamente: "Bisogna
ricordare il nome di Maurice Ravel,
perché sarà uno dei grandi maestri di
domani". |