Nel coro Friede 
									auf Erden (Pace in terra) composto nel 1907 
									su parole di Conrad Ferdinand Meyer, 
									s'incontra già una figura che in seguito 
									avrebbe acquistato una certa importanza 
									nelle composizioni di Schoenberg: quella 
									dell'angelo.  
									È vero che in questo caso (seguendo Luca 2) 
									l'apparizione dell'angelo va interpretata 
									soltanto come fatto marginale, ma potrebbe 
									essere considerata come un'indicazione per 
									lo sviluppo che dieci anni dopo sarebbe 
									culminato nel progetto della Jakobsleiter 
									(La scala di Giacobbe). 
									Il cambiamento nella weltanschauung di 
									Schoenberg verificatosi durante gli anni che 
									precedettero la prima guerra mondiale 
									diventa chiaro se si osserva la letteratura 
									che egli musicò in quel periodo, o dalla 
									quale si lasciò ispirare: se inizialmente al 
									centro della sua attenzione si era trovato 
									il provocante sostenitore della libera 
									sessualità Richard Dehmel, col tempo 
									Schoenberg fu attirato dal meno drastico 
									Stefan George, e quindi da Rainer Maria 
									Rilke e dalla décadence dei suoi inni 
									estatici.  
									Appare quindi sorprendente che progettando 
									Die Jakobsleiter egli non si sia rivolto a 
									Rilke o a George con la preghiera di un 
									testo, bensì a Dehmel (13 dicembre 1912): 
									"[...] è da molto tempo che intendo scrivere 
									un oratorio, il cui contenuto dovrebbe 
									essere: come l'uomo di oggi il quale è 
									passato attraverso il materialismo, il 
									socialismo e l'anarchia, mantenendo tuttavia 
									un pochino della sua vecchia fede (sotto 
									forma di superstizione), come quest'uomo 
									moderno litiga con Dio (vedi anche La lotta 
									di Giacobbe di Strindberg) e alla fine 
									finisce per trovare Dio e diventare 
									religioso.  
									Imparare a pregare! [...] Oltre a ciò non mi 
									abbandonava un pensiero: la preghiera 
									dell'uomo di oggi, e ho spesso pensato che 
									se magari Dehmel..." Ma Dehmel rifiutò 
									facendogli capire che non era capace di 
									scrivere poesie su ordinazione.  
									Tuttavia dalla lettera di Schoenberg risulta 
									chiaro che il progetto aveva già assunto una 
									forma concreta nella sua mente. 
									Probabilmente fu per questo che non gli 
									riuscì particolarmente difficile scrivere 
									lui stesso il testo.  
									E' evidente che nonostante il testo sia 
									basato su un passaggio tratto dalla Bibbia 
									(Mosè 1, cap. 28 versi 12-13), il piano 
									supera decisamente i limiti della tradizione 
									ebreo-cristiana: i concetti di 
									reincarnazione e karma trovano il loro posto 
									accanto ad allusioni teosofiche e misticismi 
									swedenborghesi. Questo sincretismo, per il 
									quale l'Ottava sinfonia di Mahler 
									aveva fornito un primo modello, è basato 
									sulla cognizione che nessuna religione, 
									nessuna visione religiosa può pretendere per 
									sé l'intera verità, ma che, ricordando la 
									sua particolarità meschina, essa può 
									soltanto intonare umilmente la preghiera: 
									"Liberaci dalla nostra individualità!"  
									Questa unità Schoenberg non la intendeva 
									nella stessa maniera in cui l'aveva intesa
									Beethoven nella sua Nona sinfonia - 
									come fratellanza di esseri umani liberi e 
									ragionevoli - bensì come compimento di un 
									decreto divino.  
									È l'arcangelo Gabriele che sollecita gli 
									scontenti, i dubbiosi, gli esultanti, gli 
									indifferenti: "Ora a destra, ora a sinistra, 
									avanti o indietro, in su o in giù - bisogna 
									andare avanti senza chiedere che cosa ci 
									possa essere davanti o dietro." Un 
									consacrato, un ribelle, un lottatore; 
									l'eletto, il monaco, il morente; in breve 
									coloro "che credete di esservi avvicinati 
									grazie al vostro operare" si presentano 
									rivendicando i loro privilegi. Essi vengono 
									respinti allo stesso modo in cui vengono 
									respinti i razionalisti, gli scettici o i 
									cinici.  
									A tutti questi si rivolge il terribile grido 
									di Gabriele: "Preparatevi! Trasformatevi! 
									[...] entrate nelle vostre prigioni e 
									tornate a diventare, a seconda del vostro 
									livello, dei semplici che amano e si 
									rallegrano, che soffrono e sopportano, che 
									calpestano e vengono calpestati, che 
									possiedono e rubano, che si ribellano e 
									tollerano."  
									Soltanto nella seconda parte (non musicata) 
									della poesia, dopo penose reincarnazioni, 
									Gabriele unisce insieme tutto ciò che era 
									stato disperso. Materia e spirito, 
									disintegrati in "mille frammenti", ritornano 
									purificati per "diventare una unità, le cui 
									parti siamo noi".  
									Schoenberg ovviamente attribuì al suo testo 
									un valore letterario, altrimenti non sarebbe 
									spiegabile il fatto che lo fece pubblicare 
									nel 1917 nonostante la composizione si 
									trovasse ancora agli inizi. Diversamente 
									dalle parole, che descrivono l'unità come 
									superamento della dispersione, la musica 
									contiene già a priori questa unità nelle sue 
									basi. Schoenberg infatti pensava di derivare 
									tutte le parti dell'opera da un'unica serie 
									di note, l'esacordo do diesis - re - mi - fa 
									- sol - la bemolle.  
									Attraverso la permutazione e la 
									trasposizione, e tramite la variazione 
									dell'articolazione ritmica egli giunse a una 
									ricchezza di forme musicali che vengono 
									percepite sempre come unità coerente 
									nonostante la loro notevole varietà. 
									 
									Dopo tre mesi di lavoro intenso 
									nell'elaborazione della particella, 
									Schoenberg era giunto alle parole di 
									Gabriele "Allora sarà spento il tuo io" 
									quando arrivò il 19 settembre 1917 l'ordine 
									di presentarsi sotto le armi. La sua 
									carriera militare fu breve e non 
									particolarmente pericolosa. Ma la forzata 
									cesura del lavoro di composizione ebbe 
									conseguenze imprevedibili.  
									 
									Dopo il suo rilascio nel dicembre 1917 
									Schoenberg proseguì il lavoro, ma fino al 
									1922 scrisse soltanto un altro centinaio di 
									battute. 
									Nel 1944 incominciò una nuova stesura della 
									particella, che tuttavia fu interrotta alla 
									battuta 44.  
									Poche settimane prima della sua morte, egli 
									si rivolse in una lettera del 27 giugno 1951 
									al vecchio allievo Karl Rankl pregandolo di 
									occuparsi della stesura della bella copia 
									della partitura. Ma Rankl declinò. 
									 
									Più tardi Gertrud Schoenberg riuscì a 
									convincere Winfried Zillig, il quale aveva 
									studiato con Schoenberg tra il 1925 e il 
									1926, a completare la prima parte della 
									partitura. Ma anche la prima esecuzione di 
									questo torso ebbe luogo in forma di 
									frammenti: le prime 180 battute furono 
									dirette da Hans Rosbaud il 12 gennaio 1958 
									ad Amburgo, mentre la première dell'intera 
									prima parte fu diretta da Rafael Kubelik il 
									16 giugno 1961 a Vienna.  
									Tuttavia, anche come torso Die Jakobsleiter 
									non rimase priva di effetto, e quando il 
									genero di Schoenberg, Luigi Nono, nella sua 
									opera Intolleranza 1960 concepì la 
									simultaneità e sovrapposizione di vari 
									livelli della musica e dell'azione, egli non 
									soltanto si riallacciò alla concezione della 
									Jakobsleiter, ma realizzoe addirittura 
									quello che a Schoenberg non era stato 
									concesso di realizzare. |