Nelle Variazioni
per orchestra (1926-28) e nel Quartetto per
archi n. 3 (1927), anch'essi basati su forme
classiche, Schònberg rinunciò in gran parte
a questo estremismo contrappuntistico e
armonico, per fissare invece le
caratteristiche stilistiche fondamentali
della sua musica seriale, che si sarebbero
mantenute costanti fino alla fine della sua
vita. Le trasformazioni della serie in se
stesse non sono naturalmente percepibili
interamente all'ascolto; Schònberg stesso,
del resto, criticò aspramente un ascolto
indirizzato in questo senso. La serie aveva
per lui la funzione di un motivo, mentre i
temi si basavano in primo luogo su modelli
ritmici, aperti a qualunque manipolazione
seriale. A loro volta i ritmi tematici non
erano fissi ed egli dimostrò una notevole
abilità riuscendo a variarli senza
comprometterne l'identità. La straordinaria
ricchezza musicale è dovuta soprattutto
all'interazione tra motivi melodici e
ritmici, che nel corso dell'opera accumula
gradualmente le più svariate affinità tra
elementi eterogenei. Questo ha importanti
conseguenze anche sull'evoluzione della
scrittura battuta per battuta: le prodigiose
combinazioni contrappuntistiche così tipiche
delle composizioni tonali perdono terreno in
favore di strutture relativamente semplici,
nelle quali predominano una o due linee
principali. Ma l'articolazione ritmica
dell'accompagnamento, basata sulla rotazione
regolare delle forme seriali, produce una
ricchezza di riferimenti motivici e anche
quell'ingegnoso gioco di ritmi, che
diventerà una caratteristica importante
delle partiture successive di Schònberg. In
questo modo la sovrapposizione di idee,
portata quasi sino al parossismo, pone
l'ascoltatore in una prospettiva che
gradualmente lo porta a scoprire con
crescente facilità gli elementi
significativi, al di là della superficie
nettamente stagliata del discorso, con una
familiarità che va crescendo man mano che
l'orecchio si lascia trasportare verso il
punto di fuga impercettibile della completa
strutturazione seriale. |