"Consacrai
la maggior parte dell'anno 1929 alla
composizione del Caprìccio che avevo
incominciato verso il Natale dell'anno
prima.
Come spesso mi accadeva, dovetti
interrompere parecchie volte questo
lavoro a causa dei miei inevitabili
spostamenti.
Per questo motivo scrissi un nuovo
concerto al quale diedi il titolo di
Capriccio: titolo che rispondeva meglio
al carattere della sua musica.
Pensavo alla definizione di un
'capriccio' data da Pretorius, il
celebre musicologo del XVII secolo. Egli
vi scorgeva il sinonimo di una
"fantasia", che era una forma libera di
pezzi strumentali fugati. Tale forma mi
dava la possibilità di far procedere la
mia musica accostando degli episodi di
genere vario che si susseguono e che,
per la loro natura, danno al pezzo il
carattere capriccioso da cui prende il
nome.
Un compositore, al cui genio si
confaceva mirabilmente questo genere, fu
Cari Maria von Weber; e non è strano
che, durante il mio lavoro, io abbia
soprattutto pensato a lui, a questo
principe della musica."
Nei primi due tempi del Capriccio si
raggiunge invece il culmine della
scrittura pianistica "classica" che
Stravinsky aveva individuato con la
Sonata e con la Serenata. E in
orchestra, come nel Pulcinella, viene
usato un quartetto d'archi solisti,
denominato concertino, in alternativa
alla massa (ripieno).
Ma nel finale compaiono le doppie
ottave, le seste e ottave, le doppie
note che ci riconducono a tipi di
tecnica virtuosistica impiegati da
Weber. E se non proprio direttamente a
Weber, il finale si riallaccia a schemi
del concerto ottocentesco che, seppure
con una certa parsimonia, si avvicinano
al concetto di bravura.
Nel primo tempo del Capriccio Stravinsky
non adotta forme né classiche né
barocche, né contaminazioni tra le une e
le altre, ma costruisce l'architettura
secondo un principio, classico in senso
a-storico, di simmetrie.
Come nel Concerto, l'introduzione trova
il pendant nella conclusione; qui
l'introduzione non contrasta però
espressivamente con il corpo principale
dell'opera. L'introduzione contiene
invece in sé il contrasto nelle due
brevi sezioni, entrambe ripetute, in cui
si articola: il Presto e il Doppio
movimento.
La simmetria è calcolata in modo
minuzioso (Pretorius non docei), perché
all'introduzione in due parti segue (con
cambiamento di metro, da 4/4 a 2/4) il
tema principale, a questo un tema
secondario derivato dal secondo tema
dell'introduzione, poi un divertimento
su una variante del primo tema
dell'introduzione, quindi di nuovo il
tema secondario, un episodio di
transizione, il tema principale, un
altro episodio transizione, la
riesposizione dell'introduzione.
L'introduzione viene quindi ripresa,
oltre che alla fine, al centro, e la
schematicità della simmetria così
risultante viene "corretta" con
l'inserimento di due episodi di
transizione fortemente caratterizzati e
diversificati (il primo in contrappunto
rigoroso a quattro voci, il secondo a
modo di danza caraibica).
La classicità dell'impianto
architettonico viene però completamente
sconvolta da una inconsueta
particolarità del piano tonale:
1 — Introduzione — la minore
2 — Tema principale — sol minore
3 — Tema secondario — sol maggiore
4 — Divertimento — sol minore
5 — Tema secondario — fa maggiore
6 — Episodio di transizione A — mi
bemolle maggiore
7 — Tema principale — sol minore
8 — Episodio di transizione B — sol
minore
9 — Introduzione — sol minore
Una simmetria architettonica
regolarissima, con inizio e fine nella
stessa tonalità, avrebbe creato il
massimo della solidità della forma e
della tranquillità contemplativa
dell'ascoltatore. Lo sbalzo di tonalità
tra l'introduzione e il corpo maggiore
della composizione crea invece una
tensione che non viene sciolta alla fine
perché il prevedibile ritorno conclusivo
del la minore non si verifica.
Sia con il piano tonale, sia con
l'inserimento nella seconda parte dei
due episodi di transizione, nella
architettura retta da principi classici
viene innestato un elemento di arbitrio,
di deformazione individualistica che dà
ragione delle vere, irrazionalistiche
motivazioni della poetica neoclassica di
Stravinsky.
Il secondo tempo, in forma di canzone,
riunisce caratteri stilistici
contrastanti. Nella prima parte una
melodia accompagnata, settecentesca, è
esposta dall'orchestra con
ornamentazioni sovrapposte del
pianoforte. La seconda parte è un
drammatico recitativo, affidato
principalmente al pianoforte, che
ricorda, almeno come "situazione", la
parte centrale nel Larghetto del
Concerto n. 2 di Chopin. E nella
riesposizione variata, in cui viene
inserita una cadenza del pianoforte,
compaiono anche le volatine vaporose che
tanto piacevano agli interpreti
chopiniani più salottieri. Nella
penultima battuta, su una scala rapida
che copre cinque ottave, Stravinsky
suggerisce anzi un modo di esecuzione
tipico, il passaggio dal perle al
velluto, prescrivendo all'inizio
possibile non legato (cioè «non legato
quanto è possibile») e alla fine poco a
poco più legato.
L'impianto tonale del seondo tempo è
costruito sul rapporto fra la bemolle
maggiore (primo tema) e fa minore
(secondo tema), con ritorno al la
bemolle maggiore nella deposizione. Il
secondo tempo non termina però in la
bemolle maggiore ma in do maggiore, con
un sol che diventa nota di collegamento
con il finale in sol maggiore, attaccato
senza soluzione di continuità.
Si può dire che anche lo Stravinsky del
Capriccio, come il Ravel del Concerto in
sol iniziato nello stesso anno, tenesse
d'occhio Saint Saéns e la sua estetica
manieristica: il terzo tempo del
Caprìccio è tutto "leggero", tutto
arieggiante alla polka e al can-can.
Dopo una misteriosa introduzione, che
sembra richiamare il tema principale del
primo tempo, viene esposto un temino
saltellante che potrebbe benissimo
trovarsi a casa sua nelle Bicbes di
Poulenc (1924). Altrettanto "leggero" è
il secondo tema, ma più lieve, di una
sofisticata eleganza parigina che in
Stravinsky — giovanotto, come diceva
Debussy, che pestava i piedi alle
signore mentre baciava loro la mano —
non avremmo mai sospettata.
Il tono follemente frivolo viene
corretto dalla ripresa del primo tema e
da un robusto sviluppo, che inizia in
sol minore. Ma un terzo tema, cantabile
e persino languido, compare in
orchestra, contrappuntato da un
chiacchiericcio del pianoforte. E un
lungo passo in doppie note alla mano
destra (con un basso da polchetta alla
sinistra) con cui Stravinsky scopre come
il passeggiare delle dita corte e
lunghe, sui tasti lunghi e corti, possa
creare un gioco piccante senza troppi
problemi per l'esecutore.
La forma del rondò è a questo punto ben
delineata: tanto bene che Stravinsky non
riprende pari pari il tema principale ma
se ne serve per un allusivo divertimento
e conclude con una brevissima coda.
Il Capriccio, che molto spesso
suggerisce la danza, fu coreografato
parecchie volte. Ma in realtà non
sopporta che attraverso la coreografia
gli venga sovrapposta una narrazione. E
così l'unica coreografia che possa
considerarsi riuscita è quella
"astratta" di Balanchine nel balletto
Rubins (Rubini), seconda parte della
trilogia Jewels (Gioielli). Jewels fu
creato nel 1967. |