II momento di crisi arrivò per Ravel
quando suonò la sua nuova partitura per
il balletto La Valse a Diaghilev nel
1920. "Ravel, è un capolavoro, ma non è
un balletto," gli disse l'impresario. "E
il ritratto di un balletto, il dipinto
di un balletto." Evidentemente,
Diaghilev stava dicendo che la partitura
di Ravel difettava dello spirito
spietato che l'epoca postbellica
richiedeva. Il verdetto era
bizzarro, perché La Valse è sia una
splendida incarnazione degli anni venti
che una splendida satira degli stessi.
Comincia con un viaggio nostalgico in
tre quarti, come un valzer della Vecchia
Europa al crepuscolo. Una progressiva
intensificazione delle dissonanze e
delle dinamiche allude alla furia della
guerra appena finita, al matrimonio tra
l'orgoglio aristocratico e la macchina
della distruzione. Negli ultimi istanti,
con i tromboni che ringhiano e le
percussioni che incalzano, la musica
diventa chiassosa, sfrontata e
impetuosa. Tutto d'un tratto sembra di
essere in mezzo a una festa di
maschiette, e non c'è motivo ^i
avvertire il fremito del cambiamento,
dato che i ruggenti anni venti furono
sovvenzionati dalle stesse fortune che
avevano finanziato le baldorie
anteguerra. Questa è una società che sta
perdendo il controllo, barcollando tra
gli orrori del passato recente e quelli
che la attendono nel futuro prossimo.
(Alex Ross – Il resto
è rumore. Ascoltando il XX secolo) |