Weill immaginava un teatro in cui "le
figure operistiche ritornino a essere
esseri umani viventi che parlano in un
linguaggio comprensibile a tutti,"
Schoenberg tracciò una linea ondulata
sotto "comprensibile". La sua
conclusione era severa: "Questi artisti
che vogliono rivolgersi alla comunità
finiranno per rivolgere le proprie
idiozie l'uno all'altro." Cominciò a
essere orgoglioso del fatto che la sua
musica attraesse così pochi ascoltatori.
Quando, nel 1930, gli fu chiesto di
descrivere il suo pubblico, rispose
così: "Credo di non averne uno." Le
evidenze testuali sembrano suggerire che
Schoenberg portò avanti la critica a
Weill in Moses und Aron. Nella scena
finale dell'Atto II dell'opera, il
profeta discute con il fratello Aron -
Schoenberg aveva cambiato Aaron in Aron
per evitare un malaugurato titolo di
tredici lettere, o almeno così si
racconta - se Dio debba essere
rappresentato e, in questo caso, in che
modo. Aron così spiega a Mose la propria
missione: "Mai giunse il verbo tuo
immediato al popolo. Perciò con la verga
parlai alla rupe nella sua lingua, che
anche il popolo intende."68 Usa la
stessa parola - verständlich - che
Schoenberg aveva sottolineato con un
certo scetticismo nel saggio di Weill. E
mentre Aron canta del suo bisogno di
raggiungere tutti, la musica continua a
scivolare in figurazioni quasi tonali.
Probabilmente Schoenberg non conosceva
la musica di Weill abbastanza bene da
imitarla, ma questa potrebbe essere
l'idea che si era fatto de L'opera da
tre soldi. Mose, recitando Sprechstimme
niente affatto melodiosi su armonie
rigorosamente atonali, dichiara la sua
fedeltà air "indescrivibile", all'"
inesprimibile". A parte le polemiche
weimariane, Moses spicca come la massima
conquista di Schoenberg. E una profonda
meditazione sulla fede e sul dubbio, e
la difficoltà del linguaggio è adeguata
alla difficoltà del soggetto; il Dio
dell'Antico Testamento avrebbe
indubbiamente parlato attraverso
esacordi atonali. Al tempo stesso, le
parodie di Schoenberg nella "Danza
intorno al vitello d'oro" danno al
lavoro una varietà stilistica che
contribuisce ad arricchire l'esperienza
teatrale, sebbene un simile eclettismo
venga esplicitamente condannato.
Tuttavia Schoenberg non esime se stesso
dal giudizio. Mose, il suo alter ego,
chiude l'Atto II nella disperazione più
assoluta, gridando, "O Parola, parola
che mi manca!" A dire il vero,
quest'aria di fragilità sparisce
nell'Atto III (mai messo in musica), nel
quale il profeta ritrova la fiducia in
se stesso e si vendica di tutti coloro
che non l'hanno compreso, Aron stramazza
a terra, morto. Il popolo non può essere
salvato, non c'è nessuna terra promessa.
Mose è destinato a vagare nel deserto in
compagnia dei suoi guerrieri-accoliti.
"Nel deserto," dice loro, "voi siete
invincibili".
(Alex Ross – Il resto
è rumore. Ascoltando il XX secolo) |