Dopo una pausa, l'oscurità calò di nuovo
sul teatro, e dall'orchestra si
librarono le note acute del fagotto,
quasi un falsetto. Fili di melodie si
intrecciavano come la vegetazione che
spunta dalla terra - "un sacro terrore
nel sole di mezzogiorno," lo definì
Stravinskij in una descrizione che era
apparsa sui giornali quella mattina. Il
pubblico ascoltò la sezione introduttiva
della Sagra in relativo silenzio, anche
se la crescente densità e dissonanza
della musica provocò mormorii, risatine,
fischi e urla. Poi, all'inizio della
seconda sezione, la danza delle
adolescenti intitolata "Gli auguri
primaverili", arrivò uno shock
quadruplo, in forma di armonia, ritmo,
immagine e movimento. Al principio della
sezione, gli archi e i fiati eseguono un
accordo stridente, formato da una triade
di Fa bemolle maggiore sovrapposta a una
settima di dominante su Mi bemolle. Sono
distanti un semitono, e cozzano a ogni
passo (essendo il Fa bemolle uguale al
Mi). Un ritmo costante sostiene
l'accordo, ma gli accenti cadono un po'
ovunque, in modo irregolare uno due tre
quattro cinque sei sette otto
Persino Diaghilev ebbe un brivido quando
sentì per la prima volta la musica.
"Continua così per molto?" chiese.
Stravinskij rispose, "Fino alla fine,
amico mio." L'accordo viene ripetuto
circa duecento volte. Nel frattempo, la
coreografia di Nijinskij metteva da
parte le convenzioni classiche in favore
di una semi-anarchia. Come racconta la
storica del balletto Lynn Garafola, "I
ballerini tremavano, vacillavano,
rabbrividivano, pestavano i piedi;
saltavano scompostamente e furiosamente,
correvano in tondo in selvaggi
khorovodsulla scena." Dietro ai
ballerini c'erano i paesaggi pagani
dipinti da Nicholas Roerich: colline e
alberi dai colori misteriosamente
accesi, forme uscite da un sogno.
(Alex Ross – Il resto
è rumore. Ascoltando il XX secolo) |