Una volta "fatti i conti" con il jazz,
Copland si dedicò alle dissonanze più
intellettuali e moderne. Le sue
Variazioni per pianoforte, del 1930,
rappresentano un capolavoro monolitico
che rischia di superare la scuola
ultra-moderna di Varese e Ruggles
nell'implacabilità del suo assalto.
Sono basate su un ampio sviluppo
gestuale di un motivo di quattro note
(Mi, Do, Re diesis, Do diesis all'ottava
superiore) che probabilmente Copland
trasse dal movimento lento dell' Ottetto
di Stravinskij. Il tema viene sottoposto
a una rigorosa serie di permutazioni che
a tratti si avvicina alla scrittura
dodecafonica. Nel finale, la musica si
avvia in direzione tonale: imponenti
triadi di La maggiore e Mi maggiore
risuonano nel registro alto, sebbene con
aspre dissonanze annesse. Una nuova
armonia americana, sgargiante e con
venature blues, si sviluppa dal caos
primordiale. I primi lavori di Copland
si conquistarono gli elogi sperticati
dei critici progressisti. Paul
Rosenfeld, cultore di Varese, li definì
"severi e solenni, come le frasi di
rabbini in meditazione." La meditazione
non permetteva però di sbarcare il
lunario.
(Alex Ross – Il resto
è rumore. Ascoltando il XX secolo) |