Il primo lavoro "ufficiale" sovietico di
Prokof'ev, l'epico balletto Romeo e
Giulietta, lo mostrò all'apice
dell'ottimismo. Nella sua autobiografia,
rintracciò cinque filoni principali
nella sua scrittura: classico, moderno,
motoristico, lirico e grottesco. In
Romeo e Giulietta questi indirizzi
trovano l'equilibrio, con quello lirico
in posizione dominante. Il linguaggio
tonale allargato di Prokof'ev raggiunge
la massima raffinatezza: la graziosa
melodia d'apertura è disseminata della
giusta quantità di dissonanze, dovute ai
semitoni di passaggio e alle note
alterate, sufficiente ad acquisire una
finitura ruvida e acida, evitando il
sentimentalismo e il kitsch. Il balletto
fu scritto in gran fretta nell'estate
del 1935, negli ultimi mesi prima
dell'abbattersi del Terrore. Aveva le
carte in regola per diventare
immediatamente un classico, e tuttavia
sorsero ostacoli inesplicabili alla
prima esecuzione. Alcuni membri del
Balletto del Bol'soj dichiararono la
musica non ballabile. Qualche
funzionario sovietico, rovesciando la
consueta posizione in merito
all'inopportunità dei finali tragici,
disse che Prokof'ev aveva tradito
Shakespeare concedendo agli amanti di
vivere felici e contenti. Nonostante il
nuovo finale all'insegna del crepacuore,
Romeo e Giulietta non arrivò sulle scene
russe che nel 1940. Ciò che Prokof'ev
non riusciva a capire era che queste
difficoltà non avevano niente a che
vedere con le note che affidava alla
carta; erano il rituale di umiliazione
cui tutti i compositori russi dovevano
sottoporsi.
(Alex Ross – Il resto
è rumore. Ascoltando il XX secolo) |