Nel periodo in cui la Pravda espresse il
proprio giudizio, Sostakovic stava
scrivendo la Sinfonia n. 4,di gran lunga
la più ambiziosa tra quelle che aveva
composto fino a quel momento. In
quest'opera fece i conti con l'influenza
di Gustav Mahler, e in particolare con
la visione mahleriana della sinfonia
come forma di teatro psicologico privo
di vincoli e inibizioni. La sinfonia di
Mahler cui assomiglia di più questo
lavoro di Sostakovic è la Sesta, sia
nello slancio militaresco dell'apertura
che nella prolungata agonia del finale.
Anni dopo, Sostakovic avrebbe
incoraggiato l'interpretazione secondo
cui la Quarta rappresentava in un certo
senso una sfida a ciò che aveva subito
nei primi mesi del 1936. "Le autorità le
hanno provate tutte per spingermi a
pentirmi e a espiare il mio peccato,"
disse a Glikman. "Ma io mi sono
rifiutato di farlo. Allora ero giovane,
nel pieno delle forze. Invece di
pentirmi, composi la Quarta sinfonia."
Le date però non combaciano. Quando fu
promulgato l'editto contro di lui,
Sostakovic aveva già scritto due dei tre
movimenti che compongono la sinfonia.
Come fa notare la musicologa Pauline
Fairclough, gran parte della Quarta può
esser considerata una vigorosa
espressione del realismo socialista così
come venne esposto da Bucharin: "Lotta
tra tendenze contrapposte." Orchestrata
per un gigantesco ensemble (fino a 130
musicisti), la sinfonia comincia con
presagi di possanza industriale: una
falange di quindici legni acuti si muove
con passo serrato, uno squadrone di otto
corni si avvicina minacciosamente, un
ostinato di legni gravi e archi pulsa
come un pistone. L'ascoltatore
sovietico del 1936 avrebbe forse tentato
di raffigurarsi (se ci fosse stata
un'esecuzione) i lavoratori che avevano
costruito la diga sul Dnepr, o le
"brigate d'assalto" dell'agricoltura
collettivizzata, o gli stacanovisti che
volevano eccellere a ogni costo. Dopo
l'imponente apertura, le esitazioni e le
sconfìtte di Bucharin prendono il
sopravvento. Il primo tema spreca il
proprio impeto in passaggi di
transizione troppo dilatati; il secondo
è una lenta, pallida, vacillante serie
di note al fagotto, che vaga di qua e di
là, assume un atteggiamento eroico non
troppo convincente, viene scomposta in
frammenti frastagliati per fondersi
infine con una versione del primo tema
per una compagine scombinata di legni.
Seguono eventi ancor più strani,
compresa una folle fuga e un lacerante
accordo di dodici note.
(Alex Ross – Il resto
è rumore. Ascoltando il XX secolo) |