Lady Macbeth, la storia di una casalinga
russa, vagamente simile a Lulu, che si
lascia alle spalle una scia di cadaveri,
non soddisfaceva queste istruzioni un
po' ambigue. Stalin lasciò il teatro
prima o durante l'ultimo atto, portando
con sé i Compagni Molotov, Mikojan e
Zdanov. Sostakovic confessò all'amico
Ivan Sollertinskij di aver sperato a sua
volta in un invito nel Palco A.
Nonostante i vigorosi applausi del
pubblico, il compositore se ne andò "con
la morte nel cuore", e rimase in questa
condizione di spirito mentre saliva sul
treno per la città settentrionale di
Arkhangel'sk, dove era in programma
un'altra rappresentazione dell'opera.
Due giorni dopo, uno dei grandi incubi
della storia culturale del XX secolo si
abbatté sul giovane e inquieto
compositore. La Pravda, organo ufficiale
del Partito Comunista, pubblicò un
editoriale dal titolo Caos anziché
musica, nel quale condannava Lady
Macbeth in quanto lavoro artisticamente
oscuro e moralmente osceno. "Fin dal
primo istante dell'opera," scriveva
l'anonimo autore, "l'ascoltatore rimane
a bocca aperta davanti al flusso di
suoni deliberatamente confusi e privi di
armonia". Sostakovic, si diceva, aveva
giocato un gioco che poteva "finire
molto male". L'ultima frase era
agghiacciante. Il Terrore di Stalin era
imminente, e i cittadini sovietici
stavano per scoprire, se ancora non lo
sapevano, cosa potesse significare una
brutta fine. Alcuni sarebbero stati
messi alla gogna e giustiziati come
nemici del popolo, altri arrestati e
uccisi in segreto, altri ancora mandati
nei gulag, e qualcuno sarebbe
semplicemente sparito nel nulla.
Sostakovic non riuscì mai a scrollarsi
di dosso il manto di paura in cui lo
avvolsero quelle seicento parole della
Pravda.
(Alex Ross – Il resto
è rumore. Ascoltando il XX secolo) |