Nell'estate del 1944, Strauss cominciò a
progettare un ampio pezzo per ensemble
d'archi, sulla falsariga di un'orazione
o di un lamento funebre. Erano decenni
che non scriveva un lavoro strumentale
di rilievo; l'ultimo sforzo veramente
significativo in tale direzione era
stata la Sinfonia Alpina, composta in
seguito alla morte di Mahler. Il nuovo
pezzo avrebbe avuto per titolo
Metamorphosen - l'ennesimo omaggio a
Ovidio. Strauss pensava al processo con
il quale le anime passano da uno stato
all'altro - anche se, come ha ipotizzato
lo studioso Timothy Jackson - la
trasformazione cui alludeva era forse
quella con la quale le cose tornano alla
loro condizione primitiva. Il
compositore trasse ispirazione anche da
una poesia di Goethe, del quale negli
ultimi anni aveva letto le opere
complete da cima a fondo:
Nessuno
può conoscere se stesso, Distaccarsi
da se stesso, E tuttavia si sforza
ogni giorno di diventare Ciò che è
chiaro dall'esterno, Ciò che è e che
era, Ciò che può e che potrebbe.
Strauss aveva abbozzato un lavoro
corale basato sul testo di Goethe e,
come ha scoperto Jackson, parte di quel
materiale confluì in Metamorphosen. H
compositore era immerso in profonde
meditazioni sulla propria esistenza, e
forse stava mettendo in dubbio la
filosofia dell'individualismo che
l'aveva guidato fino ad allora.
Metamorphosen, orchestrato per ventitré
archi, comincia con accordi consecutivi
di Mi minore, la bemolle maggiore, si
bemolle maggiore e la maggiore, ancorati
a una linea cromatica discendente.
Tetre e dolenti, le armonie coprono
undici delle dodici note della scala
cromatica in appena due battute, come
per riconoscere che in fondo Schoenberg
non era poi così folle. Figurazioni
contrappuntistiche si intrecciano come
una vite canadese in una sfarzosa
magione diroccata. Mentre il movimento
si sviluppa, la musica tenta di
assestarsi su un tono più composto e
lirico, ma a intervalli regolari si
verifica una specie di inaridimento, e
ritorna un'atmosfera di tormentosa
disperazione degna del Tristan. In un
momento di notevole intensità, gran
parte degli strumenti tace
improvvisamente, lasciando solo un Sol
sibilante alle viole e ai violoncelli.
L'effetto richiama alla mente il climax
dell'Adagio della Nona di Mahler, quando
l'ensemble si ritrae mettendo a nudo
l'unisono di Do diesis nel registro
acuto dei violini. L'alto grido di
Strauss sembra destinato a fungere da
nota sensibile che conduce in una
regione tonale più luminosa - qualcosa
di simile alla rassegnata beatitudine di
Mahler. Invece, continua a gravitare
inesorabilmente intorno al funereo Do
minore che risuona lungo tutto il brano.
Nella sezione finale fa il suo ingresso
un nuovo elemento: una citazione dalla
Marcia funebre dell'Eroica di Beethoven.
Si narra che Beethoven avesse intenzione
di dedicare l'Eroica a Napoleone, ma
quando questi si fece incoronare
imperatore il compositore cancellò la
dedica e scrisse invece: "Per
festeggiare il sovvenire di un
grand'uomo". Si è ritenuto a lungo che
Strauss stesse facendo lo stesso con
Hitler, seppellendo l'uomo in cui un
tempo aveva creduto. Alla luce della
segreta citazione della frase di Goethe
"Nessuno può conoscere se stesso", è più
probabile che l'eroe che si avvia
all'eterno riposo sia proprio Strauss.
Si sentono tormentose dissonanze mentre
l'inno funebre a se stesso di Strauss
entra ed esce dalla sincronia con quello
di Beethoven. Quando sembra abbia
raggiunto il fondo, scende ancora di due
ampi passi, un Sol basso, e poi un Do
ancor più grave. E come gli squilli di
tromba al levar del sole di Così parlò
Zarathustra in moto retrogrado, la serie
degli armonici naturali che si riawolge
fino alla nota fondamentale. Non c'è
"luce nella notte", solo notte.
Strauss finì Metamorphosen il 12 aprile
del 1945. Franklin Delano Roosevelt morì
quello stesso giorno. L'Adagio per archi
di Samuel Barber, di tono vagamente
simile alla musica che Strauss aveva
appena composto, risuonò sulle radio
americane. Quel pomeriggio, tra le
rovine della capitale tedesca, la
Filarmonica presentò un programma
impeccabilmente hideriano che
comprendeva il Concerto per violino di
Beethoven, la Sinfonia Romantica di
Bruckner e la scena dell'immolazione (Là
una catasta ergetemi) dal
Götterdämmerung. Dopo il concerto,
alcuni membri della Gioventù hitleriana
distribuirono capsule di cianuro al
pubblico, o almeno così si racconta.
Hitler compì 56 anni il 20 aprile. Dieci
giorni dopo, si sparò in bocca.
Rispettando le sue ultime volontà, il
corpo fu dato alle fiamme insieme a
quello di Eva Braun. Hitler immaginava
forse la sua immolazione come una
ripresa della scena finale dell''Anello,
nella quale Brunilde erige una pira per
Sigfrido e si getta nelle fiamme. O
magari sperava di inscenare il connubio
amore-morte del Tristan, la cui musica,
disse una volta alla sua segretaria,
desiderava ascoltare in punto di morte.
Walther Funk pensava che Hitler avesse
plasmato la strategia della terra
bruciata che caratterizzò l'ultima fase
del regime sul gran finale di Wagner:
"Tutto doveva andare in rovina insieme a
Hider, come in una specie di posticcio
Götterdämmerung*'. Un gesto così
stravagante avrebbe compiuto la profezia
di Walter Benjamin, il quale scrisse che
l'umanità fascista avrebbe "vissuto il
suo stesso annientamento come un supremo
piacere estetico". Ma nulla prova che il
Führer, stordito dalle droghe, stesse
pensando a Wagner o ad ascoltare musica
negli ultimi giorni e nelle ultime ore
della sua vita. I racconti dei testimoni
oculari suggeriscono che la tetra
cerimonia nel giardino della Cancelleria
- due cadaveri impregnati di benzina che
ardevano in modo incostante, uno ntatuo,
l'altro con il cranio sfondato - fosse
qualcosa di diverso da un'opera d'arte.
(Alex Ross – Il resto
è rumore. Ascoltando il XX secolo) |