Strauss cominciò la sua ultima fase
creativa con l'opera mitologica Daphne,
nella quale una donna sfugge alla sua
sventurata esistenza trasformandosi in
albero. Strauss accennò al significato
autobiografico del lavoro con chiare
allusioni alla struttura armonica e al
materiale tematico di Guntram, la sua
prima opera, che era andata incontro a
un doloroso insuccesso: entrambe
cominciano in chiave di Sol maggiore e
si concludono in Fa diesis, ed entrambe
sono incentrate su melodie che
serpeggiano intorno a una triade e si
precipitano in terzine discendenti.
In un senso più ampio, Daphne
compendiava l'intera storia della
musica; l'intreccio, tratto dalle
Metamorfosi di Ovidio, richiama alla
mente la prima opera della quale si sia
conservata la musica, la Dafne di Jacopo
Peri, del 1597-98. Daphne, ninfa
solitaria, figlia del dio del fiume,
preferisce la compagnia della natura a
quella degli uomini. Respinge le avance
del suo amico d'infanzia, il pastore
Leukippos, solo per cadere tra le
braccia di Apollo. Quando Leukippos
persiste nel corteggiamento, Apollo
uccide in un furibondo accesso di
gelosia. Daphne, sconvolta, giura di
restare per l'eternità accanto alla
tomba dell'amico, come "simbolo di amore
imperituro". Gli dei, mossi a
compassione, la trasformano in un alloro
che resterà radicato per sempre in quel
luogo. La metamorfosi viene
rappresentata quasi interamente
dall'orchestra, con la voce di Daphne
che ritorna appena prima della
conclusione per eseguire vocalizzi
arabescati. Strumenti sparsi, come
foglie tremolanti, fremono intorno a un
accordo di Fa diesis maggiore. Come in
una lontana eco di Ravel o Stravinskij,
l'orchestra crea una stratificazione di
ritmi, unità di due pulsazioni
sovrapposte a unità di tre, con le
occasionali fiammate di figure di
cinque. Persino Apollo resta incantato
dalla canzone di Daphne. "Siamo ancora
dei," si chiede, "o siamo stati
offuscati da lungo tempo dalle emozioni
umane, sopraffatti da questa soave
grandezza?"
(Alex Ross – Il resto
è rumore. Ascoltando il XX secolo) |