La strategia preferita di Carter
consisteva nel giustapporre flussi
indipendenti in strati sovrapposti e
intersecantesi, ognuno dei quali si
muoveva alla propria velocità,
accelerando o decelerando come
molteplici corsie del traffico. Simili
effetti erano comuni nel jazz - l'autore
Michael Hall paragona la stratificazione
ritmica di Carter alla discrepanza tra
la mano destra e quella sinistra di Art
Tatum-e nei lavori più complessi di
Ives. Per combinazione, Carter riuscì a
conoscere Ives nell'adolescenza, e ne
ricevette una lettera di raccomandazione
per Harvard. Carter lavorava lentamente
e meticolosamente, realizzando solo
sette lavori di rilievo tra il 1950 e il
1970, e il suo atteggiamento
anticommerciale, "senza compromessi", fu
facilitato dal fatto che non aveva
problemi economici. Passò l'intera vita
a New York, e rese consapevolmente
omaggio alla caotica intensità della
vita urbana, facendo a volte allusioni
oblique alle tensioni dell'era della
Guerra fredda. Il climax del suo
Doppio concerto (1961) - una forsennata
cadenza jazzistica al pianoforte, un
clavicembalo scoordinato, ottoni
striduli e percussioni furibonde - cede
il passo a una dissolvenza in cui tutto
si disintegra; secondo il commento
fornito in seguito dal compositore, il
passaggio era stato ispirato dai versi
conclusivi della Dunciade di Alexander
Pope: "Il velo la tua mano fa cader,
grande Anarca, I e l'universo buio
ricopre infine il mondo".
(Alex Ross – Il resto
è rumore. Ascoltando il XX secolo) |