L'altro gigante del modernismo americano 
										negli anni cinquanta e sessanta fu 
										Elliott Carter, che si fece un nome 
										prima della guerra come esperto, più che 
										come compositore, degli stili 
										neoclassici. Alla fine degli 
										quaranta, più o meno mentre Babbitt 
										elaborava la sua versione del serialismo 
										intergale, Carter abbandonò il populismo 
										coplandiano per abbracciare l'estetica 
										della densità e della complessità. 
										All'inizio degli anni cinquanta, con un 
										gesto simbolico di autoisolamento, passò 
										un anno nella zona meridionale del 
										deserto di Sonora in Arizona, scrivendo 
										il Quartetto n. 1 per archi 
										completamente atonale che ricordava il 
										Secondo quartetto di Ives, senza però 
										gli inni e le melodie popolari. "Decisi 
										di scrivere, per una volta, un lavoro 
										che fosse mol to interessante per me 
										stesso," disse Carter, "e di mandare al 
										diavolo il pubblico e gli esecutori. 
										 (Alex Ross – Il resto 
										è rumore. Ascoltando il XX secolo) |