Il plateaudella "musica più sublime" non
viene abbandonato né in Lux aeterna né
nel suo corrispettivo strumentale,
Lontano. Entrambi i lavori hanno la
natura di oggetti occulti, o di paesaggi
onirici in cui il suono diviene una
superficie tangibile. Nella sezione
d'apertura di Lontano, le linee
micropolifoniche strisciano verso
l'alto, fino ai registri più acuti
dell'orchestra, per poi fermarsi
sull'orlo di un abisso: un lacerante Do
alto cede il posto a un Re bemolle
grave, quasi impercettibile, alla tuba e
al controfagotto. Nella sezione centrale
l'armonia gravita intorno alla tonalità
di Sol minore, e l'orchestra esegue un
corale spettrale, che ricorda vagamente
il lamento con cui si apre la
Passione di San Matteo di Bach. C'è un
secondo, disperato slancio verso il
registro acuto, seguito da un secondo,
vertiginoso crollo, ma adesso
l'ascoltatore viene trascinato in
avanti, verso un paradiso segretamente
tonale di pseudorisoluzioni e
semicadenze. Una beatifica armonia
simile a quella di Messiaen sembra a
portata di mano, ma gli ottoni la
respingono con un accordo doloroso e
stridente. Le pagine conclusive della
partitura sono disseminate di triadi, ma
offuscate e coperte al punto che risulta
difficile distinguerle.
(Alex Ross – Il resto
è rumore. Ascoltando il XX secolo) |