Toccò a Messiaen scrivere un lavoro
religioso di dimensioni colossali, come
nessun compositore aveva tentato dal
Parsifal. L'opera sacra di cinque ore
San Francesco d'Assisi, che cominciò ad
abbozzare nel 1975 e completò nel 1983,
non era semplicemente una rievocazione
spettacolare della vita dell'umile
frate, ma una specie di ricostruzione
dal vivo del processo stesso della
santificazione. Parsifal racchiudeva il
rituale sacro in una cornice teatrale;
Messiaen, invece, racchiudeva il teatro
nella religione, creando un nuovo genere
di meditazione operistica. Nel far ciò,
chiedeva moltissimo al pubblico.
L'atto II dura due ore e si conclude con
una versione di quarantacinque minuti
della predica di Francesco agli uccelli.
San Francesco si rifa a quelle liturgie
arcaiche in cui i momenti di noia cedono
n passo a rivelazioni preparate
meticolosamente, come quando, nella
funzione pasquale greco-ortodossa, la
chiesa piomba nell'oscurità e resta
soltanto la luce di una candela.
Messiaen si occupò personalmente del
libretto, elaborando le classiche
leggende su san Francesco alla luce
della teologia di san Tommaso. Nel testo
non c'è quasi nulla che avrebbe stupito
un pubblico di contadini della valle
della Loira del XIII secolo. Ci sono
otto tableau, ciascuno dei quali
racconta una fase della vita del santo.
Francesco bacia un lebbroso, incontra un
angelo musico, parla con gli uccelli,
riceve le stimmate e infine muore in una
condizione di spirito in cui la gioia si
fonde alla sofferenza. È interpretato da
una voce di baritono e appare come un
uomo in carne e ossa. Potrebbe essere il
macilento Francesco ritratto nei quadri
di Caravaggio e Zurbaràn - un uomo
giovane che fissa bramosamente i cieli,
con la bocca aperta e le mani strette
intorno a un teschio. La rivelazione
centrale dell'opera giunge nel quinto
tableau, nel quale Francesco incontra
l'angelo musico lungo la strada.
L'episodio è tratto dall'agiografia
francescana, secondo la quale una volta
il frate svenne dopo aver sentito un
angelo suonare la viola. Disse quindi ai
suoi fratelli: "Se l'angelo avesse
suonato un'altra nota - se l'archetto,
dopo esser sceso sulle corde, fosse
risalito - quell'insostenibile dolcezza
avrebbe fatto sì che la mia anima
lasciasse il corpo". Nella versione di
Messiaen, l'angelo premette al suo
concerto frasi tratte dall'Aquinate:
"Dio ci abbaglia con un eccesso di
verità. La musica ci conduce a Dio in
mancanza della verità". (La ragione
umana, scrisse san Tommaso, è contusa in
egual modo dall'elusività
dell'espressione poetica e dalla
sovrabbondanza della parola di Dio.
Gli archi suonano un delicato,
incessante accordo di Do maggiore; sopra
di esso, tre onde Martenot dipanano il
filo scarlatto di una melodia che tocca
dieci delle dodici note cromatiche.
L'orecchio è stuzzicato dal contrasto
tra le calde sonorità degli archi che si
dispiegano dal centro e i suoni
elettronici che spuntano ovunque. Nello
spazio tra di essi gli ascoltatori hanno
la possibilità di intravedere il divino,
comunque lo concepiscano. "A certa
gente dà fastidio che io creda in Dio,"
disse Messiaen nel gennaio del 1992, tre
mesi prima di morire. "Ma voglio che la
gente sappia che Dio è presente in ogni
cosa, nella sala da concerto,
nell'oceano, su una montagna, persino
nel sottosuolo". In definitiva, San
Francesco non è monumentale come
potrebbe apparire; in realtà è un dramma
liturgico di paese su scala wagneriana.
Anthony Pople colse il nocciolo della
questione quando parlò del rifiuto di
Messiaen di "fare il padreterno". Queste
triadi riverberanti esercitano così
tanto potere perché non sembrano i gesti
calcolati di un grande piano strategico,
ma irrompono da una sfera più
elementare. San Francesco, come
prevedibile, si conclude con dodici
battute di luminosissimo Do maggiore,
con tanto di rapide figurazioni degli
ottoni, trilli e gemiti dell'onde
Martenot, folli glissando degli
strumenti idiofoni, e una scintillante
cascata di campane e gong. E la
negazione della negazione, la morte
della morte.
(Alex Ross – Il resto
è rumore. Ascoltando il XX secolo) |