Probabilmente Sostakovic non sarebbe
incorso in problemi seri se avesse
rifiutato l'incarico presso la rsfsr o
di diventare membro del partito. Negli
anni sessanta i musicisti più giovani
stavano cominciando a resistere
attivamente alle restrizioni estetiche
imposte dal partito, studiando il metodo
dodecafonico e le tecniche
dell'avanguardia e schierandosi con il
movimento dissidente. Il gesto di
sottomissione di Sostakovic li lasciò
stupefatti. "La nostra delusione non
conobbe confini," disse la giovane
compositrice Sofija Gubajdulina. "Non
smettevamo di chiederci perché, proprio
mentre la situazione politica si faceva
in qualche modo più distesa, e sembrava
infine possibile preservare la propria
integrità, Sostakovic avesse ceduto alle
lusinghe ufficiali". In seguito, disse
Sofija Gubajdulina, capì ciò che
Sostakovic aveva provato.
Quest'ultima crisi spinse Sostakovic a
comporre il suo sferzante, autopunitivo
Quartetto n. 8, uno dei più straordinari
pezzi autobiografici nella storia della
musica. Fu scritto in una manciata di
giorni, in seguito a una visita a
Dresda, dove il regista Lev Arnshtam
stava girando Cinque giorni, cinque
notti, un film sui bombardamenti alleati
del febbraio del 1945. L'esperienza
di Dresda contribuì indubbiamente
all'atmosfera carica di tensione del
Quartetto n. 8, ma le lettere di
Sostakovic rivelano che la dedica "alle
vittime del fascismo e della guerra" fu
una specie di copertura per la sua
angoscia personale. A Glikman scrisse:
"Il frontespizio potrebbe portare la
seguente dedica: 'Alla memoria del
compositore di questo quartetto'... E un
quartetto pseudotragico, al punto che
mentre lo componevo ho pianto tanto
quanto avrei dovuto urinare dopo una
mezza dozzina di birre. Una volta
tornato a casa, ho tentato diverse volte
di suonarlo dall'inizio alla fine, ma
sono sempre scoppiato in lacrime.
Naturalmente non si trattava tanto di
una reazione alla pseudotragedia, quanto
al mio stupore davanti alla sua
superlativa unità formale. Ma forse
ravviserai un pizzico di
autoglorificazione, che senza dubbio
svanirà presto per lasciare il posto ai
consueti postumi autocritici".Il
monogramma D S C H, che suonava quasi
trionfalistico nel finale della Sinfonia
n. 10, si insinua praticamente in tutte
le pagine del Quartetto n. 8. Appare
accanto a citazioni di precedenti lavori
di Sostakovic, compresa la Sinfonia n.
10, Lady Macbeth e la giovanile Sinfonia
n. 1, per non parlare della Pathétique
di Cajkovskij, della musica funebre di
Sigfrido nel Götterdämmerung, e della
canzone rivoluzionaria Tormentato da una
penosa schiavitù. C'era forse
dell'ironia nella frase di Sostakovic
secondo cui il quartetto è un esercizio
di "autoglorifìcazione"? Ciò potrebbe
applicarsi al finale della Decima, ma
sembra inappropriato per il Quartetto n.
8, che svanisce nel lamento del cupo,
statico corale. Le pagine conclusive
della partitura ricordano, curiosamente,
la scena della follia del Peter Grimes,
nella quale il pescatore si riduce a
cantare il proprio nome: "Grimes!
Grimes! Grimes!" E il momento del
massimo estraniamento da se stesso.
(Alex Ross – Il resto
è rumore. Ascoltando il XX secolo) |