ANNO 8°

ANNO 1959 - 2

NUM.UNICO

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Modulo i pensieri di tutti fanno la storia

1959 - pagina 1 1959 - pagina 3

 Be Bop : nota sorda fuori tono al piano 

la strana nota fa alzare un sopracciglio al trombettista. Dizzy sorpreso suona un umida evanescenza "Hee ha ha!" Charley ride. Si porta il contralto alla bocca e - con la linea del jazz - dice "non ve lo avevo detto?"
   Il bop nacque col jazz ma un pomeriggio, non so su quale marciapiede, forse nel 1939, 1940, sulla 42ma Strada a un tratto si sentì dagli altoparlanti un errore incredibile ed impossibile nel jazz, ed ecco un arte nuova. IL BOP. Il nome è accidentale.

"Hee ha ha!""Hee ha ha!""Hee ha ha!""Hee ha ha!""Hee ha ha!""Hee ha ha!"

"Hee ha ha!""Hee ha ha!""Hee ha ha!""Hee ha ha!""Hee ha ha!""Hee ha ha!" Il bop è la lingua dell' inevitabile Africa d' America, going suona come gong, Africa è la vibrazione dei fiati e il piede che batte obliquo il ritmo - l' improvviso stridio disinibito che urla finché la tromba di Dizzy  Gillespie lo soffoca - fai tutto quello che vuoi - deviando la melodia verso un altro bridge improvvisato con un lacerante protendersi di artigli, perché essere furbi e falsi?
Il pezzo che stavano suonando venne rallentato e ci andarono dietro in un mastodontico mezzo tempo - a metà della melodia spostarono le note in una posizione

esterna più precaria

 dove anche il suo senso di non appartenenza era rafforzato dalla

 generale atonalità

prodotta da tutti quelli che estrinsecavano la armonia del pezzo, il clonk del piano millenario come incudini di pietrogrado - "soffia!" disse Dizzy, e Charley Parker attaccò il suo assolo con un innocente grido pigolante.

Monk battè il nocciolo di angoscia, le dita strisciavano sulla tastiera a strappare le basi e gli intestini del jazz dalla grande matrice, per far sentire a Charley il suo grido e il suo sospiro - 

perché l' orchestra vibrasse in dissonanza

- per tirare fuori la malinconia del triste destino del pianoforte nero.

Nella barca desolata
La grandine
Rimbalza

Questo è Shiki.
Ma per quanto riguarda il mio normale verso 
all'inglese, l' ho scomposto velocemente e reso più rapido come se fosse prosa, usando,  la misura di una pagina di blocco da appunti per la forma e la lunghezza della poesia proprio come un musicista
 
- un musicista jazz -
deve buttare fuori ciò che vuole esprimere con un certo numero di battute in un ritornello, che trabocca nel successivo, ma deve fermarsi quando lo spazio del ritornello finisce. 

E così  in poesia ci si può sentire completamente liberi di dire qualsiasi cosa si voglia, 
non si deve raccontare una storia, 
si possono usare segreti giochi di parole, 
ecco perché dico sempre, 
quando scrivo in prosa: 

"Non c'è tempo per la poesia, scrivi la tua
storia e basta"

Haiku ? Vuoi sentire degli haiku ? 
Devi comprimere una storia lunga e grandiosa in tre versi. 
Prima, devi partire da una situazione adatta all'haiku - per esempio, 

vedi una foglia che cade sul dorso di un passerotto durante una terribile bufera di vento autunnale.
   Un'enorme foglia cade sul dorso di un piccolo passerotto. 
Come riesci a comprimere il tutto in tre versi? 
Ora, in giapponese, devi sintetizzarlo in diciassette sillabe.
Non siamo tenuti a questo in americano - o inglese - perché non abbiamo le stesse menate di divisione sillabica che ci sono in giapponese. 
Così diciamo: 

Piccolo passerotto - non c'è bisogno di dire piccolo - tutti sanno che un passerotto è piccolo... e anche fragile... così diciamo:


Passerotto
con una grande foglia sul suo dorso -
Bufera di vento

Non va bene, non funziona, bocciato.
Un piccolo passerotto quando una foglia d'autunno improvvisamente si attacca al suo dorso - dal vento.
Ah, questo rende bene. No, è un po' troppo lungo. Vedi ? E'ancora un po' troppo lungo, Sembra che ci sia una parola di troppo o qualcosa del genere, come quando, che ne dici di eliminare quando ? Direi:

Un passerotto
una foglia d'autunno
improvvisamente si attacca al suo dorso -
Dal vento!


Ehi, così va proprio bene. Penso che quando era la parola di troppo. Hai afferrato il concetto!
Un passerotto, una foglia autunnale che cade improvvisamente - non dobbiamo per forza dire improvvisamente, non è vero?

Un passerotto
una foglia d'autunno si attacca
al suo dorso -
     Dal vento!

Antologia

Jack Kerouac

 Srivere bop

Beati: le origini della Beat Generation

Questo articolo riguarderà necessariamente me stesso.

Dirò tutto fino in fondo.

Quella mia foto pazzesca sulla copertina di Sulla strada è venuta così perché ero appena sceso dalla cima di un’alta montagna dove avevo passato due mesi in completa solitudine e di solito avevo l’abitudine di pettinarmi i capelli perché devi fare l’autostop in autostrada e tutto quanto e di solito vuoi che le ragazze, guardandoti, ti considerino un essere umano e non una bestia ma il mio amico e poeta Gregory Corso si sbottonò la camicia e tirò fuori un crocifisso d’argento appeso a una catena e disse «Mettitelo, portalo fuori dalla camicia e non pettinarti!».

Così ho passato un bel po’ di giorni a San Francisco andando in giro con lui e gente come lui, alle feste, nelle gallerie, nei ritrovi, alle jam sessions, nei bar, alle letture di poesie, nelle chiese, camminavamo per strada parlando di poesia, camminavamo per strada parlando di Dio e a un certo punto una strana banda di delinquenti si arrabbiò e disse  «Che diritto ha quello di portare quella roba ? » e la mia banda di musicisti e poeti gli disse di calmarsi e alla fine, il terzo giorno, il giornale «Mademoiselle» volle farci delle foto, a tutti noi, così posai com’ero, capelli selvaggi, crocifisso e tutto il resto, con Gregory Corso, Allen Ginsberg e Phil Whalen, e la sola pubblicazione che più tardi non mi cancellò il crocifisso dal petto (da quella maglietta di cotone a scacchi senza maniche) fu «The New’ York Times», quindi il «New York Times» è beat come me, e sono contento di avere un amico.
Lo dico sinceramente, Dio benedica il «New York Times» per non aver cancellato il crocifisso dalla mia foto come se fosse una cosa di cattivo gusto.
In realtà, chi è beat da queste parti, sì in somma volendo parlare di “repressi”. i veri repressi sono quelli che hanno cancellato il crocifisso e non il «New York Times>’, io, o il poeta Gregory Corso.
Non mi vergogno di portare il crocifisso di nostro Signore.
Perché sono un beat, cioè, credo nella beatitudine e credo che Dio amava il mondo al punto di donargli il suo unico figlio.
Sono sicuro che nessun prete mi condannerebbe per aver portato il crocifisso fuori dalla camicia ovunque fossi e ovunque andassi, e neanche per essermi fatto fotografare da “Mademoiselles”.

Così voi non credete in Dio.

Siete tutti acutissimi sapientoni marxisti e freudiani, eh?

Perché non tornare fra un milione di anni a raccontarmela tutta, angioletti ?
...

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Tuttavia fu da cattolico, senza bisogno della spinta di uno di questi “nicks” e certamente senza la loro approvazione, che un pomeriggio andai nella chiesa della mia infanzia (una delle tante), Santa Giovanna d’Arco a Lowell, Mass., e a un tratto, con le lacrime agli occhi, quando udii il sacro silenzio della chiesa

(ero solo lì dentro, erano le cinque del pomeriggio, fuori i cani abbaiavano, i bambini strillavano, cadevano le foglie, le candele brillavano debolmente solo per me),

ebbi la visione di che cosa avevo voluto dire veramente con la parola “Beati, la visione che la parola Beat significava beato...
E domenica mattina e il prete sta facendo la predica, quando all’improvviso da una porta laterale della chiesa arriva un gruppo di personaggi della Beat Generation che indossano impermeabili legati con cinture come quelli dell’I.R.A. e vengono avanti in silenzio per “capire”’ la religione...

In quel momento mi fu chiaro.
...

...

Perché mio fratello, che era morto a nove anni e si chiamava Gerard Kerouac, aveva detto
«Ti Jean non fare mai del male a nessun essere vivente, tutti gli esseri viventi, gattini, scoiattoli o qualsiasi altro, andranno tutti dritto in Paradiso, fra le nivee braccia di Dio, quindi non fare del male a nessuno, mai, e se vedi qualcuno far del male a qualcosa fermalo con tutte le tue forze»
e quando era morto una fila di tristi monache in nero della parrocchia di St. Louis de France (era il 1926) era sfilata davanti al suo letto di morte per ascoltare le sue ultime parole sul Paradiso.

E nemmeno mio padre, Leo, aveva mai alzato un dito per punirmi, o per punire gli animali di casa, e questo era stato l’insegnamento datomi dagli uomini della mia famiglia e non ho mai avuto niente a che fare con la violenza, l‘odio, la crudeltà e tutte le altre orribili sciocchezze che, ciò nondimeno, poiché Dio è misericordioso oltre ogni umana immaginazione, alla fine perdonerà...